Alle 16,30, d'estate e d'inverno, alte Nuove è già notte. A Quell'ora i detenuti hanno terminato la cena: il vitto delle carceri italiane è stabilito da « esperti » che, rispondendo a un'interrogazione parlamentare, hanno sostenuto la sua « adeguatezza al fabbisogno calorico di un uomo sano e adulto ». In realtà, il mantenimento dei detenuti è affidato a imprese private di appalto che con circa 250 lire al giorno devono tenere in vita i carcerati. Chi conosce il prezzo dei prodotti alimentari può arguire quali' siano i pasti della prigione') qualità e quantità di ciò che arriva dalle cucine sono state sempre tra le cause delle rivolte, e non solo alle Nuove.
E' alle 16", comunque, che per i bracci girano i pentoloni fumanti di minestra; mezz'ora dopo comincia la angosciosa attesa dell'alba lontanissima. « Sono le ore terribili — ammette il direttore. — Il tempo sembra non passare mai, ma la scarsezza degli agenti non permette di ritardare il "silenzio" ». Proprio dopo la cena il dott. De Mari ha fatto iniziare la nostra visita al carcere: finita la-lunga attesa del permesso ministeriale, superate le cento difficoltà frapposte, sopportati i continui rinvii, speravamo in un'intera giornata da passare tra cortili e bracci delle Nuove. « Non è assolutamente possibile — ci è stato obiettato. — Motivi di sicurezza ».
Mentre il direttore ci accompagna, i sottufficiali fanno il vuoto davanti a noi con secchi ordini agli agenti e ai pochi detenuti ancora in giro per i corridoi. Gli uomini, in tuta marroncino, sono ammassati in tutta fretta e trasferiti lontano dai nostri sguardi; scambiare alcune, parole con loro, forse anche solo guardarli in faccia pare sia considerato colpa gravissima.
La parte delle Nuove che i funzionari mostrano volentieri è quella dove (con un ennesimo stanziamento) è stata costruita la sezione penale: 60 detenuti in tutto, un decimo del totale, gente già giudicata e lasciata a Torino a trascorrere la pena. I superiori (chiunque non sia carcerato, in prigione ha diritto al titolo di «superiore») li definiscono ai buoni », i detenuti dei bracci giudiziari li detestano, sospettandoli di « servilismo » verso l'istituzione. Quando gli ammutinati, nel '71, fecero irruzione nella sezione, i « penalisti » passarono brutti momenti.
Visitiamo i laboratori dove si tengono i corsi di qualificazione professionale per elettricisti, radiotecnici, giardinieri, meccanici, ebanisti. Ci mostrano una scrivania splendidamente intagliata e alcuni scranni in stile rinascimentale: sono opere di detenuti e saranno messe in vendita a mostre internazionali di artigianato. Il ricavato andrà alla direzione degli « Istituti di rieducazione e pena », ai prigionieri-artigiani è concessa una «mercede » di 10-12 mila lire al mese e, forse, qualche nota dì buona condotta.
Le paghe sono poco più che simboliche (i diritti sindacali sono ancora lontani dalle prigioni italiane), eppure la concessione di lavorare è considerata il premio pili grande. «Ciò che più impressiona nell'avvicinare i detenuti è il continuo lamento per l'inattività in cui sono tenuti — ci dice un avvocato —. I disturbi mentali che colpiscono . molti vengono proprio da questo ozio forzato: alcuni ammirano a definirsi; con immagine efficace, merce umana messa ad ammuffire su scaffali umidi e sovraffollati».
Con le Nuove ridotte in questo stato non sembra esserci .soluzione al problema dell'impiego del tempo: sveglia alle 7,30 con distribuzione del caffellatte; alle 8 aula o laboratorio per i pochi che studiano o lavorano, per gli altri; sino alle 11, il passeggio nei cortili. Prima delle rivolte i detenuti scendevano tutti assieme a « prendere l'aria», ora per punizione vanno a piccoli gruppi con il conseguente accorciamento del tempo a disposizione per ciascuno. -Alle 11,30 il « pranzo », alle 12,30 ancora nel cortile e infine, prima delle 16, la «conta», la cena e il silenzio.
Dai laboratori, attraverso i bracci in rifacimento, raggiungiamo le due chiese delle Nuove: quella vecchia ha la forma di un teatro con, al posto dei palchi, file di finestrelle di 20 centimetri per 40 dai quali i "galeotti" spiavano l'altare. Da qualche tempo è in funzione la nuova chiesa che il cappellano mostra soddisfatto.
La zona detta cappella è forse l'unica che abbia avuto un miglioramento sostanziale in più di un secolo: tutto il resto, alle Nuove, è rimasto fermò nel tempo o decisamente peggiorato. Il programma di concorso, vinto il 14 agosto del 1857 dal progettista Polani, prescriveva dì costruire le celle «in modo che il detenuto vi possa leggere e lavorare », erano previsti non solo « provvedimenti per riscaldare tutte le celle» ma addirittura ingegnosi congegni di condizionamento dell'aria, « si che questa sia rinnovata senza aprire le porte e le finestre ».
Proibiti, dal bando, i buglioli, le bocche di lupo, le celle dì punizione sotterranee. Centoquindici anni dopo le direttive dell'onesta burocrazia subalpina, le Nuove hanno una sessantina di celle di rigore tutte nel sottosuolo e alcune ancora fornite del letto di contenzione di cui si raccontano storie orribili.
Del riscaldamento prescritto dal concorso si comincia a parlare solo ora e l'unico modo concesso ai detenuti di sfuggire al freddo è passare tutta la giornata a letto; sepolti sotto quattro coperte di lana.
Solo i « ricchi » hanno a disposizione fornellini da campeggio a gas, con cui cuociono la pastasciutta e mitigano l'aria di sera. I « disgraziati », quelli che per un pacchetto di sigarette devono spesso prostituirsi ai compagni, si affidano al calore sprigionato dalla promiscuità: nate come carcere di avanguardia che superasse il concetto di detenzione in comune, le Nuove hanno ora cameroni a 8 posti. Chi è in una cella « ordinaria », sta con altri due in un cubicolo di tre metri per quattro.
Secondo quanto prescrive il regolamento del '31, chi ha soldi può concedersi una cella a pagamento. E' una concessione di cui si avvalgono spesso gli arrestati per sfruttamento, quelli stessi che ogni mattina ricevono il telegramma con un « Ti amo », spedito nella notte dalla ragazza che ha terminato il «servizio».
I protettori ricevono pacchi enormi — confida un agente di custodia —, quasi mai finiscono tutto il ben di Dio che c'è dentro e allora fanno un gioco che la dice lunga sulle condizioni igieniche delle Nuove: sospendono sull'apertura del gabinetto un frutto o una pagnotta e si divertono a osservare i salti dei topi, grossi come gatti, che cercano di afferrare la preda».
La Stampa 29 gennaio 1972