Nella prigione veneziana di Santa Maria Maggiore, detenuti e guardie carcerarie fanno insieme lo sciopero della fame. Pare che sia l'unico caso del genere in Italia, nel clima d'inquietudine che grava sui penitenziari in attesa della riforma. In questa manifestazione «unitaria» confluiscono, naturalmente, rivendicazioni diverse. Per quanto vi possa essere un filo di solidarietà, resta la fondamentale differenza tra chi sta dietro le sbarre e chi è fuori a sorvegliare. Ciascuno ha i suoi problemi. Ma la protesta s'inserisce comunque in blocco tra quelle che mettono in evidenza l'urgente necessità dell'approvazione del nuovo ordinamento carcerario. Il reclusorio di Santa Maria Maggiore, affacciato verso il tratto di laguna che guarda verso Porto Marghera, è una massiccia costruzione la cui origine affonda nel tempo: nel '500 era un convento di suore di clausura, con annessa la chiesa, poi fu trasformato in tetro carcere dagli austriaci.
Come in altre carceri italiane, qui dentro in quest'ultimo periodo si sono vissuti momenti di tensione, giornate drammatiche: detenuti raggruppati sul tetto, lanci di tegole e di masserizie, schieramenti di forze dell'ordine attorno all'edificio. La più recente sommossa nella prigione di Santa Maria Maggiore è dell'8 aprile scorso: oltre 200 reclusi parteciparono a quella rivolta che sconvolse l'edificio, scoppiarono alcune bombole di gas, s'incendiarono materassi delle celle, mentre dal piazzale partivano candelotti lacrimogeni. Ora c'è stata la manifestazione di protesta che ha avuto per protagonisti detenuti e agenti di custodia. Vi è un certo riserbo su questa vicenda, dentro il carcere è difficile raccogliere qualche informazione. Secondo quanto si è potuto sapere, tutto è cominciato martedì scorso. Gli agenti di custodia che hanno famiglia tornano a casa al termine del servizio. Chi non è sposato, invece, vive nel reclusorio come in una caserma, ha a disposizione una mensa dell'istituto di pena.
L'altro ieri, una trentina di agenti scapoli ha rifiutato il rancio: ripetono che il vitto, per il quale pagano 1200 lire al giorno, è scadente, insufficiente. Ma non è il solo motivo di questa clamorosa protesta. Le guardie carcerarie chiedono da tempo altre cose. Ad esempio, un miglior trattamento economico: il loro stipendio si aggira sulle 125 mila lire al mese. Poi c'è la questione dei riposi settimanali, dato che qualcuno lavorerebbe ininterrottamente per periodi piuttosto lunghi: chi non può beneficiare di un turno di riposo ha diritto ad un'indennità di 700 lire, ma gli agenti di custodia dicono che occorre aspettare parecchio per avere queste centinaia di lire per ogni giorno «perduto» Una delegazione delle guardie carcerarie si sarebbe recata dal direttore, al quale avrebbe manifestato l'intenzione di continuare per cinque giorni questo «sciopero della fame».
L'altro ieri a mezzogiorno, secondo le indiscrezioni, alla manifestazione dei trenta agenti di custodia si sono associati circa 140 detenuti: avrebbero lasciato il rancio intatto nelle gavette in fila davanti alle porte delle celle. I reclusi hanno composto in coro: "Riforma, riforma".
La Stampa 11 ottobre 1974