Le indagini sono partite dalle accuse di un 50enne tunisino: «Mi hanno picchiato per non farmi deporre al processo contro gli agenti della Polizia Penitenziaria che io accusai di furto nel carcere di Velletri». Sul suo corpo trovati i segni lasciati con un tirapugni
Sul suo corpo sono stati trovati i segni lasciati con i tirapugni. Ismail Ltaief, tunisino 50enne recluso nel carcere milanese di San Vittore, sarebbe stato picchiato e minacciato da undici ispettori e agenti di Polizia Penitenziaria. Con questa accusa il pubblico ministero Leonardo Lesti ha chiesto il loro rinvio a giudizio. Al centro le presunte intimidazioni e i pestaggi che il detenuto avrebbe subìto, tra il 2016 e il 2017, per convincerlo a non testimoniare in un processo nei confronti dei colleghi del carcere di Velletri, denunciati dal tunisino, nel 2011, per furti in mensa e percosse. L’uomo , un ex tossicodipendente, era in carcere per aver tentato di uccidere un egiziano nel «boschetto della droga» di Rogoredo, del quale descrisse gli orrori.
Le accuse mosse agli undici ispettori e agenti di Polizia Penitenziaria, che nel frattempo non prestano più servizio a San Vittore, sono: intralcio alla giustizia, lesioni, falso e sequestro di persona. Reato quest’ultimo contestato solo ad alcuni perché in uno dei due pestaggi, datati 27 marzo e 12 aprile 2017, ricostruisce il capo di imputazione, il 50enne, privato «della libertà» sarebbe stato ammanettato e trasferito nella stanza assegnata ad uno degli agenti sotto inchiesta per poi essere picchiato. Oltre a Ltaief, nel processo si è costituito parte civile anche un suo compagno di cella, un sudamericano di 30 anni, che, chiamato a testimoniare dai magistrati milanesi, sarebbe stato intimidito da uno degli imputati che per questo venne anche arrestato.
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