Il direttore dott. Ortoleva: «Il superlavoro non giova a nessuno: né a noi né ai carcerati» - Motivi delle frequenti agitazioni nei vari istituti di pena: edifici antiquati, servizi igienici umilianti. « Chi ha sbagliato è giusto che paghi, ma la legge deve essere applicata a uomini, non a numeri ».
Il direttore, delle carceri « Nuove » di Torino, dott. Di Piazza, è stato promosso ispettore generale degli istituti di prevenzione e pena e nel prossimi giorni andrà In pensione per limiti di età. Il periodo più burrascoso della sua carriera fu senza dubbio l'aprile del 1969, quando nel tetro edificio di corso Vittorio Emanuele 1127 esplose il primo, massiccio ammutinamento degli oltre mille detenuti. Il carcere venne quasi completamente devastato, gran parte delle celle diventarono Inabitabili. Grazie alla tenacia e all'esperienza del dott. Di Piazza solo uno dei sei « bracci » del carcere è ancora in fase di restauro. Negli altri la situazione si è normalizzata.
A sostituirlo temporaneamente nel delicato compito è giunto da Saluzzo — dove da sette anni dirigeva quello stabilimento penale — il dott. Giuseppe Ortoleva(in foto ndr), nativo di Mistretta e uno dei più giovani alti funzionari dell'amministrazione carceraria (ha soltanto 36 anni). Come direttore titolare delle « Nuove » dovrebbe venire il dott. De Mari, al quale è ora affidato il reclusorio di Procida.
Com'è noto, da tempo la situazione delle carceri nelle grandi città è preoccupante. Proteste, « scioperi della fame, ribellioni più o meno clamorose, sfociate pochi giorni fa nel tragico episodio di « San Vittore » a Milano, dove tre detenuti sono bruciati vivi nella loro cella.
Chiediamo al dott. Ortoleva di spiegarci le cause di questi fermenti, che non sempre possono essere attribuiti all'indisciplina e alla sobillazione. I reclusi hanno dei debiti verso la società e le leggi da essi violate, ma anche dei diritti che sarebbe disumano non riconoscere. « Tra uno stabilimento penale come quello di Saluzzo — dice il dott. Ortoleva — e un carcere giudiziario c'è una differenza sostanziale, che riguarda la psicologia del detenuto.
Il penitenziario ospita persone che scontano lunghe condanne, quindi rassegnate al loro destino. Sanno che la buona condotta rappresenta un vantaggio, influisce sulla riduzione della pena. Le "Nuove" accolgono invece individui in attesa del processo, chi varca per la prima volta le porte della prigione è accomunato ai recidivi. E' più facile lasciarsi suggestionare dai compagni turbolenti, abbandonarsi a gesti che aggravano la propria posizione anziché migliorarla ».
Le deficienze dell'ordinamento carcerario — il dottor Ortoleva lo riconosce apertamente — sono molteplici. Per il « recupero dei detenuti non servono gli agenti di custodia: necessitano psicologi, psichiatri, medici, assistenti sociali. Le leggi sono Inadeguate, la famosa « riforma Gonella » continua a giacere negli scaffali del | Parlamento. Si cerca di ovviare alle lacune della burocrazia con « circolari e suggerimenti da parte dell'Amministrazione. Palliativi che possono essere efficaci ma non risolvono le questioni di fondo. Alle « Nuove » sono attualmente rinchiusi 600 tra uomini e donne: un numero accettabile, ove si pensi che, all'epoca della paurosa rivolta, nelle celle erano stipati più di mille detenuti. Ogni braccio custodisce 150 prigionieri. Per sorvegliarli occorrerebbero 6 agenti. Invece ce n'è uno solo, e il normale « giro d notturno richiede un paio d'ore. Quando arriva all'ultima cella del « braccio », in quelle già ispezionate può succedere qualunque cosa senza che se ne accorga.
L'organico prevede 180 agenti di custodia: in realtà non ve sono mai disponibili più di 130. Gli arruolamenti si diradano, il vivaio dei cosiddetti « secondini a — Calabria, Sicilia, Sardegna — si è Inaridito. I giovani trovano nella loro terra un lavoro meno ingrato e più redditizio, oppure salgono al Nord per sistemarsi nello fabbriche. Altro motivo di insofferenza: edifici troppo antiquati, con servizi igienici sommari e umilianti, assurde lungaggini nei procedimenti giudiziari, pericolo di trascorrere in cella settimane o mesi per poi sentirsi magari prosciogliere dall'Imputazione. «E' di fronte a tali situazioni — conclude il dott.: Ortolevà. — 'che un direttore deve essere non solo scrupoloso, ma soprattutto sensibile. Calcare la mano, minacciare o punire è Inutile. Anzi, sarebbe un rimedio peggiore del male. Chi ha sbagliato è giusto che paghi in base alla legge, ma l'espiazione deve essere applicata a uomini, non a numeri di matricola. A Torino' il personale militare delle " Nuove " risponde bene ai suol compiti, grazie alla fattiva collaborazione del comandante regionale degli agenti dt custodia, capitano Rafia. Purtroppo, ripeto, l'organico è insufficiente e il superlavoro non giova a nessuno: né a noi né ai detenuti ».
La Stampa 28 luglio 1970