Un killer spietato e lucido, che non esitava a sparare "alle spalle", al volto e "al cuore" di una persona a terra, e poi a "frugare tra i cadaveri" per portare via le armi alla sue vittime, tre carabinieri e un metronotte. E' la figura, come emerge dagli atti giudiziari dell'epoca, di Antonio Cianci, il 60enne condannato all'ergastolo (non ostativo) per l'omicidio nel '79 di 3 militari di Melzo e che 5 anni prima, a 15 anni, aveva già ucciso un metronotte, sempre nel Milanese. Ieri in permesso premio ha tentato di uccidere un anziano per una rapina nel parcheggio sotterraneo dell'ospedale San Raffaele di Milano.
Un killer spietato
"Stava frugando sopra i cadaveri", così un teste aveva descritto 40 anni fa il comportamento di Cianci, subito dopo che aveva sparato ai 3 carabinieri che lo avevano fermato per un controllo. Nel '74, quando era ancora adolescente, uccise, sempre per rapina, il metronotte Gabriele Mattetti, 29 anni, sparandogli un primo colpo "alle spalle", e dopo che il giovane era già a terra, anche due colpi "al viso" e infine "uno al cuore". E gli rubò l'arma che venne ritrovata in casa del 15enne nascosta "nello schienale di una poltrona del soggiorno".
Cianci, originario di Cerignola (Foggia) e che le cronache dell'epoca descrivevano come un giovane dal passato difficile e un "patito di armi", aveva 20 anni quando, nella notte tra l'8 e il 9 ottobre del '79, uccise i tre carabinieri che lo avevano fermato ad un posto di blocco tra Liscate e Melzo, nel Milanese, a bordo di un'auto che risultava rubata. Mentre i militari controllavano i suoi documenti quella notte, scoprendo, tra l'altro, che a 15 anni aveva già ucciso un metronotte a Segrate (venne assolto per incapacità mentale e fece 3 anni di riformatorio), il giovane fece fuoco con una pistola automatica. Uccise il maresciallo Michele Campagnuolo, l'appuntato Pietro Lia e il carabiniere Federico Tempini.
Quando venne arrestato, Cianci non confessò e disse, anzi, che a sparare ai militari della stazione di Melzo erano stati alcuni sconosciuti a bordo di un'auto. Al processo di primo grado venne condannato all'ergastolo, confermato in appello nel 1983. Processo quest'ultimo in cui finalmente, però, con una lettera ai giudici confessò la strage e la condanna venne confermata, poi, anche in Cassazione.
Una persona cambiata in meglio
Dava atto del suo cambiamento, del suo percorso positivo, della sua consapevolezza, maturità, affidabilità, la relazione del carcere di Bollate favorevole alla concessione del permesso premio, disposto dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, per Antonio Cianci, l'ergastolano 60enne che ieri ha tentato di uccidere un anziano e che quarant'anni fa aveva ucciso tre carabinieri. Il permesso "di 12 ore" era stato concesso sulla base di una norma che prevede la valutazione di buona condotta e assenza di pericolosità sociale.
Il 26 luglio, il giudice di Sorveglianza Simone Luerti ha firmato l'ok ai permessi premio per Cianci (dall'estate in poi era già uscito 3-4 volte) sulla base di una relazione favorevole del carcere che attestava il cambiamento reale del detenuto. Un carcere-modello dove il 60enne era arrivato nel 2017 (prima era ad Opera) dopo un'altra valutazione positiva. Valutazioni che davano conto che Cianci, detenuto da 40 anni ininterrottamente, dopo i primi anni faticosi in cui aveva subito provvedimenti disciplinari, nell'ultimo periodo si era sempre comportato bene, tanto che in passato era stato anche ammesso al lavoro esterno. L'ultimo permesso aveva la durata di 12 ore (dalle 9 alle 21) con obbligo di accompagnamento del detenuto dal carcere a Cernusco sul Naviglio, dove abita la sorella, e con lo stesso obbligo per il rientro. Cianci, che negli altri casi non aveva commesso violazioni (ai primi di novembre lo ottenne di 3 giorni), ieri si è invece allontanato da Cernusco per andare a colpire al San Raffaele, dove ha rubato anche una felpa da inserviente e una mascherina per camuffarsi. Il beneficio gli era stato concesso sulla base dell'articolo 30 ter della legge sull'ordinamento penitenziario che lo riserva anche ai condannati all'ergastolo, dopo 10 anni di detenzione, che hanno "tenuto regolare condotta" e che "non risultano socialmente pericolosi".
Cari Eroi delle Forze dell'ordine, non vi meritiamo: siamo diventati un Paese fesso