Un agente in libera uscita rapina una farmacia Gli servivano centomila lire per pagare il sarto E' un ventiseienne di Belluno in servizio nel carcere di Rebibbia - Ha raccontato di essere stato drogato da due giovani sconosciuti e costretto a compiere la rapina: adesso è rinchiuso nel carcere di «Regina Coeli», e dovrà rispondere di rapina a mano armata.
Ieri sera,rientrato a Rebibbia stravolto, il giovane che è della provincia di Belluno, ha raccontato al suo comandante di essere stato drogato da due giovani che gli avevano offerto un passaggio in macchina: "Quando siamo arrivati a Piazza Sonnino - ha detto - mi hanno obbligato a scendere dalla vettura e, consegnandomi una rivoltella, mi hanno obbligato a rapinare la farmacia della piazza: la droga mi aveva ridotto in loro potere e come un automa ho obbedito".
Ma più tardi, dopo lunghe ore di interrogatorio, ai carabinieri del nucleo di "Sal Lorenzo in Lcina", che gli contestavano le contraddizioni contenute nel suo racconto, ha ammesso di essere stato l'unico organizzatore del colpo. Si è giustificato dicendo: " Mi servivano 100 mila lire per pagarmi il sarto e ho pensato alla rapina".
Il maresciallo Lelli che comanda la squadra di agenti della quale faceva parte Dino Lorenzon, ha commentato con amarezza: "Lorenzon è stato uno degli allievi più brillanti del corso e adesso era il mio uomo migliore: non capisco che cosa gli possa essere accaduto. E' proprio vero che non si può mai essere certi di conoscere una persona".
La "notte brava" dell'agente Lorenzon in "libera uscita" è stata ricostruita dal capitano Tommasini dei carabinieri che ha posto a confronto l'agente di custodia con il farmacista Antonio Francalancia e il cassiere Franco Giordani.
Sia il medico sia l'impiegato non hanno avuto difficoltà nel riconoscere nel Lorenzon il giovane rapinatore che la notte scorsa, pistola in pugno, si è presentato nella farmacia dicendo: "Datemi centomila lire o vi uccido". Il cassiere aveva immediatamente consegnato il denaro e appena il rapinatore aveva lasciato il negozio aveva avvertito il 113.
La Stampa 11 maggio 1972