Uno di essi scontava 20 anni per omicidio - Il piano deve essere stato studiato a lungo; al momento della fuga la prigione era sorvegliata e illuminata.
Tre detenuti sono evasi nelle prime ore di stamani dalle carceri giudiziarie di Bari. Si tratta del meccanico Giuseppe Boreale di 34 anni — il quale doveva scontare una pena di 20 anni e cinque mesi per omicidio a scopo di rapina — di Michele Favia di 24 e Michele Pancellieri di 54, entrambi in attesa di giudizio per furti, per rapina ed altri reati.
I tre si trovavano nel « centro clinico » del carcere: i primi due erano ricoverati per le loro condizioni di salute, mentre il terzo svolgeva mansioni di inserviente. Secondo quanto è stato possibile ricostruire finora, sembra che fossero in possesso di chiavi false con le quali hanno aperto varie porte interne, raggiungendo poi il cortile antistante l'ingresso principale; hanno poi superato la cancellata utilizzando come fune un tubo in plastica usato di solito per innaffiare le aiuole del giardino. I detenuti che si trovavano nelle celle dei tre evasi (i due che erano con il Boreale e quello che era rinchiuso con il Favia ed il Pancellieri) avrebbero detto agli agenti di custodia di non saper fornire alcuna indicazione sull'orario della fuga. Stavano dormendo e si sarebbero svegliati soltanto quando è stato dato l'allarme.
A scoprire l'evasione è stato l'agente di custodia in servizio nel settore dove i tre erano rinchiusi, il quale ha trovato le porte delle celle aperte. Qualche particolare, inoltre, si è appreso sul comportamento dei tre detenuti durante la permanenza in carcere. Il Favia non era stato mai troppo notato dagli agenti, mentre il Pancellieri era apparso sempre diligente nello svolgimento dei compiti a lui assegnati. Da tempo era addetto alle pulizie del centro clinico. Il Boreale, invece, era tenuto d'occhio dagli agenti di custodia perché più volte aveva tentato di arrampicarsi sui muri di cinta ed una volta aveva perfino raggiunto il tetto di uno dei settori del carcere.
Il Boreale era affetto da una malattia ad un piede, al quale aveva riportato una frattura durante la permanenza nel carcere mandamentale di Monopoli. Periodicamente veniva ricoverato nel « centro clinico », ma veniva dimesso ogni volta dopo gli accertamenti sanitari. Al momento dell'evasione gli agenti in servizio erano 127 e l'impianto di illuminazione sia all'interno sia all'esterno dell'istituto era perfettamente funzionante. Si ritiene, perciò, che ogni particolare della fuga sia stato a lungo studiato.
La Stampa 3 ottobre 1971