uTotò Riina avrebbe avuto la disponibilità di un telefonino nel carcere di Rebibbia quando era recluso nel luglio 1993 (Totò Riina venne arrestato il 15 gennaio 1993). E' questa la sconcertante ipotesi su cui sta indagando la Procura generale di Palermo.
Proprio mentre i suoi fedelissimi Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, sotto la regia del cognato-reggente Leoluca Bagarella, realizzavano le stragi e le bombe di Roma e Milano per piegare lo Stato e costringerlo a trattare, Riina disponeva di un cellulare in carcere.
La storia, dai contorni ancora da verificare, è stata raccontata al processo d’ appello sulla Trattativa il 14 ottobre da un giudice di grande esperienza: Andrea Calabria, 64 anni. Da allora i pm in gran segreto stanno svolgendo indagini e hanno già trovato i primi riscontri.
Non solo e non tanto sull’ esistenza del telefonino oggi impossibile da verificare. Quanto sul perché Riina sia rimasto detenuto, dopo quella segnalazione proveniente dal Capo della Polizia, in un carcere che sembrava voler favorire i suoi contatti con l’ esterno.
La storia del telefono in mano a Riina (recluso all’ isolamento del 41 bis!) era scritta in una nota riservata del Capo della Polizia. Lo ha raccontato a sorpresa nell’ aula bunker del carcere dell’ Ucciardone solo 20 giorni fa il giudice Andrea Calabria. Nel 1993 si occupava di detenuti al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Oggi è presidente di sezione della Corte d’ Appello di Roma.
Calabria ha avuto un momento di fama in qualità di presidente della Corte del caso Vannini: è sua la sentenza, con relatore Giancarlo De Cataldo, che ha ridotto la pena a 5 anni per Antonio Ciontoli, l’uomo che ha sparato accidentalmente e poi ha ritardato i soccorsi al fidanzato della figlia, un ragazzo di 20 anni, Marco Vannini.
Calabria, nell’ aula bunker dell’Ucciardone a Palermo, ha ricordato così quel che accadde nel luglio 1993. L’incipit non è solenne: “Non so se l’avevo già detta questa cosa piuttosto importante che riguardava Riina () venne una segnalazione riservata del ministero dell’Interno credo proprio dal capo dalla polizia nella quale si ipotizzava che con l’ausilio di alcun agenti di Polizia Penitenziaria a Rebibbia Riina avesse a disposizione un apparato per comunicare con l’esterno, un telefono o un telefonino”.
Calabria prosegue: “Fui proprio io, d’accordo con il consigliere Filippo Bucalo, a trasferire Riina al carcere di Firenze Sollicciano per qualche mese in attesa di fare gli accertamenti e verificare se questa notizia fosse fondata o infondata”. A stoppare tutto fu Francesco Di Maggio, il vicecapo dipartimento del Dap, un magistrato famoso perché era stato più volte ospite di Maurizio Costanzo in tv, quasi come un novello Falcone.
“Io presi qualche giorno di ferie, Di Maggio richiamò Bucalo – prosegue Calabria – e gli fece revocare il provvedimento facendo rimanere Riina detenuto a Rebibbia. In base a quali informazioni io non lo so”. Secondo Calabria il Capo della Polizia non diceva come aveva saputo quella notizia: “Sono quelle relazioni riservate che sono indirizzate al Dap, dove non si indica la fonte”. Il capo della Polizia allora era il prefetto Vincenzo Parisi, scomparso negli Anni Novanta come Di Maggio.
Il capo dipartimento, Adalberto Capriotti, non era molto operativo e Di Maggio era più di un semplice vice. Proprio perché non era in ufficio, la nota riservata rimase ferma per quattro giorni. Preoccupata per l’ inerzia e per le sue conseguenze, secondo Calabria, fu la dottoressa Cinzia Calandrino, segreteria particolare del capo del Dap, a metterne a conoscenza il capo dell’ ufficio detenuti Filippo Bucalo e il suo vice, Andrea Calabria, appunto. I due subito disposero il trasferimento. Ad agosto Calabria parte per le ferie, di ritorno scopre che Di Maggio ha revocato il trasferimento e Riina non si è mai mosso da Rebibbia.
Calabria non ha un buon rapporto con Di Maggio. Non chiede perché Riina non sia stato trasferito. Né se fosse stata attivata un’inchiesta sul telefono a Rebibbia e su eventuali complicità dei poliziotti penitenziari. Di certo nessuno ha mai informato la Procura di Palermo, diretta allora da Gian Carlo Caselli.
I magistrati palermitani della Procura generale sono andati a Roma nei giorni scorsi negli uffici del ministero per cercare la nota del Capo della Polizia del luglio 1993.
Non l’ hanno trovata. Però un riscontro al racconto del dottor Calabria c’ è: nell’ estate del 1993 ci furono due provvedimenti ravvicinati. Il primo disponeva il trasferimento immediato di Riina a Sollicciano. Il secondo lo revocava. Ora la Procura generale di Palermo guidata da Roberto Scarpinato vuole capire perché.
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