«Sono convinto che non occorrerà tantissimo tempo, per rimettere a posto tutti i punti fermi sulla strage di via D'Amelio e scoperchiare questo calderone di sporcizia, che ha infangato anche le parti migliori del nostro Stato».
Nonostante tutto, il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho si dice «ottimista». Nonostante intorno all'autobomba, che il 19 luglio di 26 anni fa uccideva il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta - Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina - si sia compiuto «uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana», come scritto dai giudici di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater.
Anzi, proprio per quel duro atto d'accusa, ora l'alta toga guarda con fiducia alla possibilità di «dare presto risposte alle domande poste dalla figlia di Borsellino e alle altre rimaste ancora aperte», dopo quasi tre decenni . Proprio per la chiarezza della corte nissena, mentre un tempo «la stessa realtà sarebbe stata appannata da un giro di parole. Quelle verità fanno parte della nostra democrazia, sono pilastri del nostro Stato, delle nostre libertà e necessariamente va fatta luce».
La determinazione nel cercare le risposte autentiche è di sicuro una prima condizione fondamentale. Ma la consapevolezza che quello sia stato il “più grave depistaggio della storia giudiziaria”, con un finto pentito e innocenti in carcere, non è una sconfitta per i magistrati?
Vivo quella sentenza del Borsellino quater come un recupero di verità e anzi mi sembra una vittoria poter dire quello che è avvenuto, cioè che c'era stato un castello di menzogne messo su da qualcuno che ha fatto trapelare delle verità, attraverso un estraneo alla strage (il falso pentito, Vincenzo Scarantino, ndR). C'è stato un manovratore. Quella sentenza è una sollecitazione per magistrati e polizia giudiziaria a fare di più, come lo è stato la relazione della Commissione parlamentare antimafia che ha elencato i punti da chiarire.
Punti, come le 13 domande rivolte anche alla magistratura da Fiammetta Borsellino, uno dei tre figli del giudice, dalle colonne di Repubblica. Come risponde?
Che deve avere una risposta. Tanti aspetti sono stati considerati anche in altre processi, come quello sulla trattativa Stato-mafia. Ma per molti altri ancora non c'è riscontro: la sparizione dell'agenda rossa del giudice; il ruolo di Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo e quello dei funzionari di polizia a cui la Procura di Caltanissetta contesta il delitto di calunnia.
Il funzionario e i due ispettori, cioè, che erano in forza al gruppo investigativo Falcone-Borsellino ora sul banco degli imputati a Caltanissetta, accusati dell'indottrinamento del falso pentito.
Quelle conoscenze fornite da Scarantino nella ricostruzione di alcuni passaggi che hanno preceduto la strage avevano dei riscontri, ed è evidente che sono stati riferiti da chi li conosceva. E non è stato indicato. Questo occultamento tocca le basi della nostra democrazia e libertà. Pensare che all'interno delle strutture che devono preservare lo Stato ci possano essere soggetti che hanno manovrato in senso opposto è di una gravità senza pari. Di sicuro, nessuno di noi si fermerà prima di aver fatto chiarezza.
Certo, sono stati fatti dei passi avanti, ma ad ogni anniversario delle stragi di Capaci e via D'Amelio da 26 anni si rinnova questo doveroso impegno . Perché ora dovremmo credere davvero di riuscire a trovare i pezzi mancanti? Cos'è cambiato rispetto ai primi processi?
Ora ci sono tanti magistrati e appartenenti alle forze dell'ordine, determinati a scoprire la verità. che non si curano del fatto che possano essere coinvolti nomi fino ad ora ignoti. Forse oggi alcuni atteggiamenti del passato non ci sarebbero stati, ad esempio i colloqui con Scarantino. Quando mi sono insediato come procuratore a Reggio Calabria, il primo divieto che ho posto è stato quello di avere colloqui con detenuti, portare fonti confidenziali e avere rapporti con criminali: le informazioni si acquisiscono solo con le indagini.
Le ragioni dell'autorizzazione a quei colloqui con Scarantino è una delle domande anche di Fiammetta Borsellino
E' uno degli aspetti da approfondire, l'autorizzazione a così tanti colloqui delle forze dell'ordine, con un soggetto che non diceva verità. Ma ora i magistrati scrivono in modo chiaro, un tempo la stessa realtà sarebbe stata appannata da un quadro di parole che non restituiva l'immagine nitida. E questo è un passo in avanti.
Tanti magistrati però hanno accettato nel corso degli anni e dei processi quei depistaggi. Ci sono stati errori anche da parte della categoria?
Quel depistaggio è stato un quadro indiziario costruito a tavolino da più soggetti. E' evidente che si sono mossi soggetti che hanno potuto manovrare il collaboratore, che hanno potuto apprendere da altri soggetti informazioni vere. La magistratura ha fatto quello che normalmente fa, verifica gli elementi portati e sviluppa nuove indagini. Polizia giudiziaria e magistratura sono l'architrave su cui poggiano le indagini. Nel momento in cui uno dei due si muove in modo deviato, prima che l'altro lo rilevi occorre tempo e non è detto che si riesca. In questo caso invece siamo riusciti, abbiamo avuto sentenze chiare e se lo Stato non avesse avuto gli anticorpi, contro queste forme di devianze, non sarebbe mai arrivato alle verità già raggiunte.
Cioè la magistratura è caduta in una trappola ordita da vertici investigativi e servizi segreti?
Accerteremo cos'è accaduto. Sono convinto che ogni volta che si ha la consapevolezza che quella verità vada raggiunta ad ogni costo, alla fine la si raggiunge. C'è già un quadro abbastanza chiaro, mettendo insieme elementi acquisiti in diversi processi. Si tratta di ricomporlo, valutarlo, come avviene sempre per fatti complessi che toccano le fondamenta della democrazia.
Se all'epoca hanno prevalso i depistaggi, oggi c'è la forza di cercare anche all'interno degli apparati le responsabilità di quella strage. Di sicuro, un aspetto positivo, ma forse non basta ai familiari delle vittime. Bisognerebbe loro chiedere scusa anche per le mancate verità?
Credo che nessuno accetti scuse, ma chi ancora oggi ha la possibilità di approfondire degli aspetti, all'interno della magistratura e della pg, arriverà all'obiettivo senza timidezze e senza timori nei confronti di nessuno. E questo è l'atteggiamento della polizia giudiziaria attuale. Sono pronti a dare tutto per la verità e questa è la ragione dell'ottimismo non solo mio.
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