Tre piani, 358 vani ed accessori, ma mancano un impianto idrico, strade e luce elettrica - Vi furono rinchiusi Settembrini e Bresci. Ora lo scoglio è deserto; vi si posano a migliaia gli uccelli migratori.
Il penitenziario di Santo Stefano, il tetro carcere borbonico che sorge sullo scoglio dello stesso nome a poca distanza dall'isola pontina di Ventotene, si affitta. Presso l'Intendenza di Finanza di Latina è indetta per oggi un'asta per la locazione del «bagno penale».
Le condizioni per l'affitto del vasto immobile demaniale prevedono un canone base annuo per sei milioni. Difficile anticipare pronostici sull'esito dell'asta.
Da tre anni, sullo scoglio di Santo Stefano appartenente all'oculista napoletano Aurelio Taliercio e proprietario anche del suolo su cui si trova il penitenziario, è sceso il silenzio.
Perfino le dodici famiglie di pescatori, che un tempo ospitavano i parenti dei reclusi in attesa di riprendere il battello per Gaeta, hanno abbandonato l'isolotto, su cui incombe minacciosa la cupa sagoma del carcere.
Costruito da Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, nel 1794, il carcere è composto di 358 vani su tre piani per una superficie di 2705 metri quadrati.
In questa impenetrabile prigione scontò la sua durissima pena Luigi Settembrini ed ivi furono reclusi l'anarchico Gaetano Bresci, uccisore di Umberto I, famigerati delinquenti e confinati politici antifascisti.
Per «redimere» lo scoglio da tanti funesti ricordi di dolore e sofferenze, l'amministrazione finanziaria dello Stato ha decìso di dare in affitto l'intero complesso carcerario. Per quali scopi verrà sfruttato questo isolotto solitario, dove ogni metro è conteso alla furia del vento e del mare? Ardua la risposta. Neppure il proprietario il dott. Aurelio Taliercio, ha saputo indicare la probabile utilizzazione di S. Stefano.
«Per sfruttare turisticamente lo scoglio - egli ha detto - occorrono ingenti capitali, qualcosa come un 1 miliardo di lire. Mancano un impianto idrico, un molo sicuro per l'approdo, strade ed illuminazione elettrica. Vi sono soltanto difficili sentieri e i viottoli, in uno spaventoso rovinio di pietre. Oggi, l'isolotto è un sicuro rifugio soltanto per le migrazioni degli uccelli».
La Stampa 8 febbraio 1968