Le madri detenute per “reati ostativi” potranno beneficiare dell’assistenza esterna ai figli minori di 10 anni, al di là della loro scelta di collaborare o meno con la giustizia, di ravvedersi, oppure no. Per la Corte Costituzionale “subordinare il beneficio dell’assistenza esterna ai figli minori di 10 anni alla scelta di collaborare con la giustizia significa condizionare in via assoluta e presuntiva la tutela del rapporto tra madre e figlio in tenera età al ‘ravvedimento’ della condannata”. Bisogna invece garantire un rapporto quanto più possibile normale con la madre. Anche se in carcere e non si pente.
Cosa diversa sono i benefici che hanno come scopo esclusivo la risocializzazione del detenuto stesso. È possibile, in questo caso, far dipendere i benefici alla collaborazione con la giustizia. Questa possibilità, invece, non sussiste se al centro della tutela c’è un interesse “esterno”, come quello di un figlio minore. Questo è costituzionalmente garantito e il bambino ha diritto a un rapporto quanto più possibile normale con la madre (o, in via subordinata, con il padre). Perciò è incostituzionale la norma n. 354 del 1975 che preclude l’accesso a questo beneficio alle detenute per i “reati ostativi”. O comunque lo subordina all’espiazione di una parte di pena, a meno che sia accertata una collaborazione attiva con la giustizia.
Insomma, un conto sono i benefici finalizzati a favorire, fuori dal carcere, i rapporti tra madre e figli in tenera età, altra cosa sono invece benefici come il lavoro all’esterno, volti al reinserimento sociale del condannato e senza immediate ricadute su soggetti diversi. È evidente, per i giudici costituzionali, che i requisiti richiesti per gli uni e per gli altri non possono essere identici. Quanto specificato dalla Consulta, con la sentenza n. 174 depositata oggi 23 luglio dal relatore Nicolò Zanon era stato già affermato in un altro verdetto (n. 239 del 2014)
Nella decisione presa oggi, la Corte ha richiamato anche un’altra sentenza, la n. 76 del 2017. In questa si afferma che dove il legislatore nega in assoluto alla madre la possibilità di accedere a modalità agevolate di espiazione della pena, impedendo dunque al giudice di valutare caso per caso tra l’esigenza dellla difesa sociale e la tutela dell’interesse del minore, si è di fronte ad un automatismo basato su indici presuntivi. Un meccanismo che così applicato “comporta il totale sacrificio di quell’interesse”, sul quale oggi la Consulta fa il punto. Nella conclusione della Corte Costituzionale si fa riferimento al beneficio dell’assistenza all’esterno ai figli minori di 10 anni per le donne detenute per uno dei reati previsti dall’articolo 4 bis, comma 1, reati per cui la collaborazione con la giustizia sia impossibile, inesigibile o irrilevante. A conclusione della sentenza la Corte ha ricordato che altra cosa sono le esigenze di sicurezza. La concessione del beneficio “resta pur sempre affidata al prudente apprezzamento del magistrato di sorveglianza chiamato ad approvare il provvedimento disposto dall’amministrazione penitenziaria”.
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