Seicento detenuti di Regina Coeli rifiutano cibo e non lavorano pił
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STORIA Seicento detenuti di Regina Coeli rifiutano cibo e non lavorano pił 13/07/1973 

Per ottenere la riforma dell'ordinamento carcerario.Per oggi è prevista anche la rinuncia all'"aria" - L'ordine del ministero: "Parlamentare con i reclusi ed evitare ogni attrito" - La protesta iniziata dai "giovani adulti", i carcerati dai 18 ai 25 anni, sono considerati i più politicizzati: provengono tutti dal carcere Rebibbia dove ci furono altre sommosse.

Pochi giorni di tregua e la contestazione si riaccende dietro le sbarre dei penitenziari italiani: la protesta parte dal carcere romano di Regina Coeli e al ministero di Grazia e Giustizia si teme che la rabbia dei carcerati possa esplodere nelle prossime ore in tutto il Paese, con conseguenze imprevedibili. «Siamo al punto di rottura — ha detto un funzionario del ministero — e non si può aspettare che la situazione precipiti. Seicento detenuti fanno lo sciopero della fame a Regina Coeli ma domani si aggiungerà il carcere Rebibbia, poi Torino, Milano, tutta Italia».

A dare il via alla protesta dei 626 detenuti in attesa di giudizio, rinchiusi nel vecchio edificio ai piedi del Gianicolo, sono stati anche questa volta i «giovani adulti», i reclusi tra i 18 e i 25 anni, considerati dai dirigenti del carcere i «più politicizzati». A Regina Coeli sono 126 e tutti provengono dal carcere di Rebibbia. Furono trasferiti in via della Lungara venti giorni fa quando a domare la rivolta del «carcere modello» di Roma fu chiamata la polizia con i candelotti lacrimogeni e alcuni colpi di arma da fuoco, smorzati dal forte vento, furono uditi con chiarezza.

A Regina Coeli, per riprendere l'agitazione, i giovani adulti hanno aspettato la formazione del nuovo governo. Ripropongono, ancora una volta, il problema della riforma dei codici, della paralisi giudiziaria, delle condizioni inumane di vita e della lotta per la sopravvivenza psichica e fisica alla quale sono costretti i reclusi. In un documento consegnato alla direzione si afferma: «Noi detenuti del carcere di Regina Coeli, avendo constatato che nel corso del precedente governo nulla è stato fatto per modificare ì codici e l'ordinamento carcerario, ribadiamo la validità della precedente manifestazione e comunichiamo la ripresa dello sciopero della fame a oltranza». Denunciano quindi all'«opinione pubblica e a tutte le forze democratiche che un ulteriore rinvio dell'approvazione, da parte del Parlamento, dei nuovi codici accrescerebbe lo stato di esasperazione dei detenuti la cui volontà di lotta è incrollabile».

Allo sciopero della fame si è poi aggiunta l'astensione dal lavoro e, per domani, è prevista la rinuncia all'«aria». Il documento, tramite la direzione, è stato mandato al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, e al nuovo ministro della Giustizia. L'inquietudine nelle celle di Regina Coeli si è manifestata stamane all'alba. Ai giovani adulti si sono subito uniti i carcerati più anziani che ritmicamente hanno cominciato a calciare le porte. All'ora del caffelatte erano già d'accordo e nessuno ha accettato la colazione.

I trecento agenti di custodia sono stati mobilitati a oltranza dalla direzione che con un fonogramma urgente ha informato il ministero. Agenti di polizia e reparti di carabinieri sono stasera consegnati nelle caserme, pronti all'intervento. Dal ministero di Grazia e Giustizia l'ordine è stato perentorio: «Parlamentare con i detenuti ed evitare ogni attrito». Il direttore, Corsaro, è rimasto per tutta la giornata in ufficio, ha ricevuto rappresentanti e commissioni dei manifestanti. L'invocazione raccolta è ancora una volta quella di una giustizia più celere, di un sistema penitenziario più umano, che chiede la fine del bugliolo e pretende il rispetto dell'individuo.

Costruito cent'anni fa per ospitare 500 persone, Regina Coeli conta oggi dieci raggi nei quali sono stipati 626 detenuti e ne conteneva, prima dell'apertura di Rebibbia, più di 3000.

La Stampa 13 luglio 1973


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