“Corriamo il rischio di una bancarotta per l’effettività del sistema penale.” Sebastiano Ardita, membro togato del Csm, commenta così le recenti scarcerazioni, anche di mafiosi del calibro di Pasquale “bin laden” Zagaria, dovute – almeno secondo le motivazioni di alcuni Tribunali di sorveglianza – all’emergenza Covid-19.
Dottor Ardita, le scarcerazioni causa coronavirus sono una buona scelta?
Per essere una buona scelta, si sarebbe dovuto provare con uno studio, statistico ed epidemiologico, che in carcere ci fosse un rischio maggiore per la vita dei detenuti. Ad oggi questa prova non c’è, ma c’è l’indizio opposto. Sono morte per coronavirus 26.383 persone libere e solo una persona detenuta che, peraltro, ha contratto il virus mentre era in ospedale e non in carcere. E siccome pare che siano usciti finora circa 6.000 detenuti, senza la prova della necessità di queste scarcerazioni, sono andate in fumo fatica, costi e credibilità della giustizia.
A essere scarcerati sono anche i mafiosi. Ma non erano esclusi?
I mafiosi erano esclusi – almeno sulla carta – rispetto alla detenzione domiciliare concessa dal “cura Italia”, ma grazie a quella iniziativa hanno beneficiato di un “effetto domino” nei procedimenti per incompatibilità col regime carcerario, che si basano su altri presupposti.
Quali?
Il nesso di causalità, indimostrato, tra carcere e contagio del virus ha trovato spazio in un provvedimento del governo ed è stato semplice trasferire questo concetto in una circolare del Dap che lo ha fatto proprio lanciando l’allarme sui nessi tra patologie pregresse e infezione (ma senza la prova che il carcere la favorisca). Infine si è ritrovato il tutto nei provvedimenti della magistratura di sorveglianza che ha ripreso per i mafiosi le medesime preoccupazioni espresse dal Governo. E così i mafiosi sono stati scarcerati con provvedimenti che - tra le altre motivazioni - contengono anche il riferimento al pericolo di contrarre in carcere il virus.
Il governo e il ministro hanno responsabilità?
Ce l’hanno nella misura in cui hanno risposto alle rivolte dei detenuti con una legge svuotacarceri. Ciò ha contribuito a sbilanciare fortemente il rapporto tra prevenzione penitenziaria e diritti individuali fino a far ritenere prevalente un rischio indimostrato per la salute individuale rispetto ad un danno certo per la prevenzione antimafia derivante dalla uscita di boss.
Quindi non sono solo scelte dei Giudici di sorveglianza?
Sono scelte di bilanciamento tra beni costituzionali – la salute del singolo e il pericolo della mafia – che risentono di un criterio di valutazione che il giudice trae anche dalla coscienza sociale. A ventotto anni dalle stragi, nella nostra società e nelle istituzioni la sensibilità rispetto al fenomeno mafioso è letteralmente crollata.
Come rispondere a chi sostiene che avere riserva su queste scarcerazioni sia volere la pena di morte?
Delle due l’una: o è stata applicata fino a qualche mese fa e non ce ne siamo accorti o forse prima lo Stato era più attento nel salvaguardare la vita dei cittadini che, anche loro, rischiano di essere condannati a morte.
È possibile coniugare umanità ed essere convinti che purtroppo 41-bis è necessario?
L’umanità dell’esperienza penitenziaria non può essere messa in discussione, ma finchè esiste Cosa nostra è necessario il 41bis. Solo che la nuova linea di Cosa nostra, quella della distensione nata dopo le stragi dall’alleanza tra Provenzano e Santapaola, rende invisibili i fenomeni e porta già a casa alcuni risultati. A parte Bonura, a Catania è stato scarcerato il boss Ciccio La Rocca, che è ottantenne, malato e capo di una famiglia mafiosa esattamente come lo è Nitto Santapaola, ma è solo meno famoso. Tragga lei le conclusioni.
Il Fatto Quotidiano
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