Da domani gli agenti di custodia delle carceri di Savona attueranno lo sciopero della fame. A questa iniziativa (se non rientrerà all'ultimo momento) si accompagnerà una manifestazione di protesta che, salvo proroghe o ripensamenti, si protrarrà a tutto martedì: chiuso il portone del “Sant'Agostino” gli agenti non consentiranno l'ingresso in carcere ad avvocati e parenti dei detenuti. Ovviamente assicureranno la vigilanza interna e tutti gli altri servizi.
Lo hanno annunciato stamane, con una telefonata fatta dalle carceri (e che noi abbiamo controllato richiamandoli allo stesso numero). Oggi pomeriggio, comunque, l'appuntato di servizio al centralino, che aveva preso servizio a mezzogiorno, si è dichiarato all'oscuro di tutto: “Ho sentito solo delle voci” ci ha detto.
Carceri Sant'Agostino: una vecchia prigione ricavata in un settecentesco convento, che pur avendo una capienza di soli cinquanta posti, ospita, normalmente, non meno di settantacinque detenuti. Celle umide, sovraffollate, in cui si mescolano giovani “alle prime armi” ancora recuperabili, incalliti ladri e pericolosi malviventi. Teatro sovente di rivolte (l'ultima risale a poco meno di un mese fa) le carceri savonesi sono talmente insicure, superate, indegne di una comunità civile, che da anni si parla della necessità di una nuova sede. Ma ci sono anche gli agenti di custodia sottoposti ad una attività sfibrante, impegnati giorno e notte, senza un minuto di riposo e di tranquillità. Nonostante la situazione interna, malgrado la inadeguatezza e le insufficienze del Sant'Agostino, gli agenti di custodia sono in numero di poche unità. “L'organico previsto per cinquanta detenuti - rivela il portavoce - è di trenta agenti; ma mentre, i detenuti sono 75, noi, compresi i sottufficiali, siamo appena 18 e sovente, quando qualche collega è malato, anche di meno”. Gli agenti non ce la fanno più. Stanchi, sfiduciati per le promesse mai mantenute, avviliti (“I detenuti sono più considerati e più ascoltati di noi”), chiedono solo di essere posti nella condizione di poter svolgere il loro duro, pericoloso lavoro con maggior tranquillità e serenità. “Vogliamo semplicemente - afferma il portavoce - che sia aumentato il numero delle guardie, che ci sia consentito di fare il riposo settimanale, regolari turni di servizio e che, in definitiva ci sia possibile vedere i nostri familiari che vivono in continuo stato di ansia”.
La situazione è delicata: le guardie non fanno quasi mai la giornata di riposo settimanale, quando sono di turno (“Smontiamo la notte e rimontiamo al mattino”) debbono provvedere a 2 posti di servizio anziché ad uno, possono godere di licenze annuali solo con enormi ritardi, non ci sono agenti infermieri e ne chiedono almeno due (“Abbiamo le medicine ma non sappiamo usarle; quando qualcuno ha bisogno di medicinali dobbiamo chiedere l'intervento del 113, oppure del medico del carcere, oppure portare il detenuto in ospedale”) mentre il direttore sovrintende anche alle carceri di Chiavari e La Spezia.
Domani gli agenti chiederanno un incontro con il procuratore della Repubblica per sottoporgli le loro richieste e sollecitare il suo intervento. “Non ce la facciamo più - ripetono le guardie - non chiediamo nulla di straordinario, vogliamo soltanto poter far meglio il nostro lavoro”.
La Stampa 17 novembre 1975