Ieri una giornata drammatica, ma nessun ferito Rivolte nelle carceri a Roma, Genova, Torino Tutti chiedono la riforma dei codici - A Genova i detenuti urlano: "Bozano è fuori, dovete liberare anche noi" - A Torino grande tensione: "Vogliamo più ore di colloquio e libertà di ricevere le nostre donne"
Una giornata drammatica di tensione e disordini in tre carceri italiane. A Torino, a Genova, a Roma, i detenuti sono scesi in rivolta per invocare « la riforma dei codici e un trattamento più umano ». Gli scontri più violenti sono avvenuti nel carcere romano maschile di Rebibbia, dove già la notte scorsa si erano avuti incidenti: nella tarda serata la situazione non è ancora ritornata normale. Alle Nuove torinesi la guerriglia è durata tre ore. Polizia e carabinieri hanno dovuto sparare numerosi candelotti lacrimogeni per sospingere nelle celle ottanta dimostranti; questi gridavano: «Vogliamo libertà sessuale nel carcere e più ore di colloquio con i nostri familiari ». A Genova, nella prigione di Marassi, trecento detenuti si sono scagliati contro gli agenti di custodia (sei o sette) e li hanno immobilizzati. All'inizio il clamore è stato coperto dal fracasso di mortaretti e applausi che proveniva dal vicino stadio, in festa per la vittoria del Genoa: quando gli agenti sono intervenuti, i rivoltosi avevano ormai in mano la situa¬ zione. Molte le grida: « Bozano libero, ingiustizia ». Alle 21,40 i militari e le guardie hanno ristabilito l'ordine. Le autorità non escludono che le rivolte siano state « pianificate » ed organizzate congiuntamente.
ROMA
Dopo una notte di violenze e di scontri, stamani a Rebibbia sembrava fosse ritornata la calma. Poi la rabbia è esplosa di nuovo, questo pomeriggio. Centottanta detenuti del braccio «G 12» (scaduta l'ora dell'aria) invece di rientrare nelle celle si sono arrampicati sui tetti e le terrazze dell'edificio. Intorno alle mura, in forze, carabinieri e agenti di polizia.
Tentativi di mettersi in contatto con il gruppo dei manifestanti vengono compiuti dall'ispettore Buonamano, dal questore Parlato, dal sostituto procuratore della Repubblica, dottor Del Vecchio. Incessanti e ritmati, gli slogan e le proteste dei carcerati si ripetono da ore. Si levano le richieste: processi rapidi che limitino l'esasperante periodo della carcerazione preventiva; riforma del codice di procedura penale e dell'ordinamento carcerario; miglioramenti nella vita di tutti i giorni all'interno del reclusorio. Si sollecita un incontro con magistrati e una commissione mista di deputati e senatori. Si grida basta alle promesse e alle assicurazioni mai mantenute. Si minacciano nuove violenze.
I manifestanti di oggi sono reclusi adulti; quelli di ieri e di questa notte appartenevano invece al braccio «G 8», dove sono rinchiusi i giovani fra i 18 e i 23 anni. Ma i motivi della protesta sono gli stessi, quelli che da tempo si vanno sostenendo nelle carceri italiane in forme più o meno clamorose.
Un gruppo di avvocati romani, ai quali si sono poi associati i giuristi democratici, in seguito ai fatti accaduti la notte scorsa a Rebibbia, ha denunciato oggi «i gravi episodi costituenti reato contro detenuti»; ha sollecitato l'intervento del procuratore ge nerale della corte d'appello Spagnuolo, del procuratore capo della Repubblica Antonucci, del sostituto procuratore Del Vecchio, «al fine di evitare il prevedibile aggravamento della situazione, evidenziata dall'inspiegabile divieto fatto ai difensori di accedere oggi nel carcere».
I tumulti si erano aggravati nella tarda sera di ieri. Centinaia di detenuti avevano respinto i custodi ed erano divenuti padroni di metà del carcere. Avevano demolito le porte delle celle, poi, ammassati mobili e suppellettili, avevano invaso la rotonda di un edificio e vi si erano asserragliati.
Tutta la notte era trascorsa in una drammatica attesa. Fuori attendevano — ma trattenuti ad un chilometro di distanza — familiari dei reclusi, giornalisti e fotografi. Le notizie che filtravano erano secche e generiche.
La direzione del carcere, oggi si è limitata a parlare dei danni alle suppellettili: alcuni milioni di lire. Ma di scontri, di contusioni, di violenze alle persone non è stata fatta parola. La calma sarebbe ritornata, alle sei del mattino, quando l'ispettore Buonamano s'è impegnato a sostenere, davanti alle autorità, le richieste dei manifestanti ed ha accompagnato personalmente i detenuti nelle celle evitando che venissero a contatto con gli agenti di custodia.
I disordini oggi sono partiti da un fronte diverso. A tarda sera, la situazione è estremamente tesa. Dalle finestre e dai tetti i reclusi sono riusciti a calarsi anche nella zona « dei giardini ». Cani poliziotto sono stati sguinzagliati nella campagna circostante. Dalle torrette di controllo la vigilanza è stata raddoppiata.
GENOVA
Trecento detenuti si sono ribellati oggi verso le 15,30 mentre erano nel cortile a « prendere aria ». Secondo alcune voci i carcerati si sarebbero scagliati contro sette agenti di custodia e li avrebbero immobilizzati.
La direzione del carcere in serata ha però smentito l'episodio. L'inizio della rivolta è stato coperto dal fracasso elemento del tutto casuale e dei mortaretti, dalle urla e dagli applausi provenienti dallo stadio di Marassi, dove si giocava la finalissima Genoa-Lecco. Poco dopo è stato dato l'allarme. Gran parte dei detenuti sono stati bloccati, settanta sono riusciti a salire sul tetto della prigione. Trenta sarebbero entrati nel reparto femminile della casa di pena.
Mentre un migliaio di agenti di polizia e carabinieri circondavano l'edificio, dall'interno hanno cominciato a levarsi le grida: « Bozano libero ingiustizia » e « Riforma carceraria». Il richiamo alla sentenza di assoluzione per Lorenzo Bozano sarebbe un si. La direzione di Marassi ritiene che la rivolta sia stata pianificata in precedenza, attraverso accordi con i detenuti di altre prigioni italiane.
Sono intervenuti il sostituto procuratore della Repubblica, dottor Testa, ed il questore Santillo. A tarda sera, mentre il carcere è sempre circondato da un cordone di agenti e militari in assetto di guerra, ufficiali e magistrati continuano ad invitare i rivoltosi a rientrare nelle celle. L'agitazione nel carcere di Marassi di Genova si è conclusa alle 21,45 di oggi.
TORINO
Le Nuove, carceri turbolente. Dopo la clamorosa evasione di tre settimane fa, ieri un'ottantina di detenuti hanno inscenato una manifestazione di protesta e si sono rifiutati di rientrare in cella dopo l'ora d'« aria » pomeridiana. Le ragioni della dimo strazione sono sempre le stesse; riforma dei codici, maggior numero di ore di colloqui con i parenti, libertà sessuale.
« Now vogliamo parlamentare con i funzionari del cai-cere » ha detto un portavoce dei detenuti ribelli « vogliamo conferire con un magistrato ». Sono stati accontentati.
Il sostituto procuratore di turno, dott. Marzachi, si è recato alle Nuove, e ha dato assicurazione che tutte le richieste dei carcerati sarebbero state trasmesse agli organi di informazione: giornali, agenzie di stampa, radio, purché i dimostranti rientrassero immediatamente nelle loro celle.
Il patto però non è stato rispettato dai detenuti i quali, formulate le loro richieste, hanno continuato a rumoreggiare, rifiutandosi di abbandonare i cortili interni e far ritorno nei bracci. Si è fatto allora ricorso alla forza pubblica: agenti di polizia e carabinieri sono entrati nel carcere, hanno sparato una trentina di candelotti lacrimoge ni. A 3 ore esatte dall'inizio, la sommossa è stata domata. Nessun ferito o contuso, nessun danno. E' probabile che i detenuti più agitati verranno trasferiti nei prossimi giorni in altri istituti penitenziari.
La manifestazione di ieri non è stata un episodio isolato: in prigioni di altre città, Milano, Genova, Trieste e Roma, si sono avuti fermenti, principi di sommosse. Tra tre le tante riforme urgenti che si aspettano in Italia, c'è quella delle carceri.
Ma si direbbe che i responsabili se ne dimentichino: la protesta di ieri sta ad indicare come la popolazione dei detenuti sia stanca di aspettare e colga sempre più frequenti occasioni per protestare e mettere in pericolo il già precario equilibrio delle nostre istituzioni carcerarie.
La Stampa 18 giugno 1973