Chiedono un furgone, giubbotti anti-proiettile e garanzie per la fuga. Due detenuti nel carcere di San Gimignano hanno sequestrato un maresciallo e sette guardie di custodia; secondo una voce non confermata, terrebbero anche segregato in una stanza del parlatorio un numero imprecisato di civili. I due rivoltosi sono armati di tre pistole: hanno chiesto un furgone con il serbatoio pieno, giubbotti a prova di proiettile, caschi integrali da motociclista, e la garanzia di poter fuggire. Qualora le loro condizioni non fossero accolte, minacciano di uccidere gli ostaggi. Per ora non hanno posto un ultimatum.
Nella notte, proseguono le trattative tra i rivoltosi e il sostituto procuratore di Siena, Romoli; i colloqui avvengono con il telefono interno. Gli ostaggi sono tenuti costantemente sotto la minaccia delle armi. Preoccupa la sorte degli eventuali civili (familiari di detenuti, tra cui alcune donne) rinchiusi nella stanza del parlatorio: qui non c'è telefono e nessuno riesce a comunicare con loro, in quanto per recarsi in quell'ala dell'edificio bisogna passare davanti all'ufficio del direttore dove sono asserragliati i rivoltosi, decisi a sparare su chiunque si avvicini. La situazione nel carcere è molto tesa; si teme che altri detenuti aderiscano alla sommossa soprattutto se hanno parenti bloccati in parlatorio.
La prigione è circondata da cinquecento tra carabinieri e poliziotti; due elicotteri sono giunti da Livorno e Pisa. I due detenuti che minacciano di uccidere gli ostaggi se non ottengono la libertà si chiamano Severino Turrini, 28 anni, di Verona, e Renato Mistroni, 23 anni, di Copparo (Ferrara), entrambi residenti a Mantova. Il Mistroni deve scontare una pena fino al 1984 per rapine e tentativi di evasione; Turrini è condannato sino al 1991 ed è in attesa di giudizio per avere ucciso una guardia durante la rivolta nelle carceri di Brescia nella primavera del 1974. Oggi verso le 16, Turrini e Mistroni avevano appena terminato l'ora di aria quando hanno estratto tre pistole e le hanno puntate sugli agenti di custodia che li scortavano. “Fermi - hanno detto - siamo decisi a tutto”. Poi si sono diretti verso gli uffici, hanno bloccato gli altri agenti e il maresciallo. Impadronitisi delle chiavi dell'ufficio del direttore vi si sono installati, isolando completamente l'ala dell'edificio. L'allarme sarebbe stato dato da una guardia, lasciata fuggire dai rivoltosi affinché avvertisse i suoi superiori di quanto stava accadendo. Alle 16 e 20 circa veniva dichiarata l'emergenza. Attraverso il telefono interno cominciavano le trattative e i due detenuti ponevano le loro condizioni. Non è ancora chiaro se abbiano chiesto l'adesione degli altri carcerati alla sommossa, ottenendo come risposta un rifiuto. Per ora essi sono soli, armati e, sembra, decisi a tutto. Non hanno fatto dichiarazioni politiche; soltanto il Turrini risulta impegnato in movimenti di estrema destra.
Il carcere di San Gimignano si trova nel centro della città e ospita un'ottantina di detenuti, tutti con condanne molto alte. Lo scorso anno, in questo stesso periodo, era avvenuta una rivolta: per domarla, la polizia aveva fatto uso di bombe lacrimogene. La prigione è un vecchio edificio, nel quale sono stati rinchiusi anche il terrorista fascista Nico Azzi e l'estremista di destra Vittorio Loi, condannato per l'uccisione dell'agente Antonio Marino durante i disordini di Milano. Azzi era stato trasferito a Roma; si ignora se Loi sia ancora ospite del carcere di San Gimignano. Le mura della prigione sono ora circondate da ingenti forze di polizia e da carabinieri.
Oltre al sostituto procuratore Romoli, sono giunti a San Gimignano il pretore di Poggibonsi Chini e l'ispettore generale per le carceri della Toscana Sardella. A nessuno è consentito di avvicinarsi. Gli inquirenti giudicano molto grave la situazione.
La Stampa 10 agosto 1975