L'aspra "battaglia,, è durata cinque ore. I reclusi s'impadroniscono d'un « braccio », salgono sui tetti - Poi danno fuoco ai pagliericci, trasformano le suppellettili in pericolose armi, avanzano con i coltelli Numerosi contusi - Durante la notte i prigionieri più pericolosi trasferiti a Volterra.
Cinque ore di tumulti nel carcere di Pisa. Una protesta per un motivo banale si è trasformata in rivolta. Agenti e carabinieri sono intervenuti con lancio di lacrimogeni, mentre i detenuti davano fuoco alle celle e trasformavano le suppelletili in armi. Dall'esterno del carcere (un blocco quadrato alla periferia Est della città) si vedeva un gran fumo nero, si udivano le grida dei rivoltosi e gli spari dei lacrimogeni. Poi, dopo cinque ore, i carcerati si sono arresi; i più pericolosi sono stati isolati in cella e, in nottata, trasferiti al penitenziario di Volterra.
L'agitazione è cominciata alle 14,30. Un gruppo di detenuti del secondo padiglione, una cinquantina, è salito sul tetto. Motivo iniziale della protesta: il rifiuto del trasferimento. Il carcere giudiziario pisano, infatti, è sede di un Centro clinico-chirurgico, cui fanno capo i penitenziari di mezza Toscana e delle isole; oltre ai detenuti « stanziali » ci sono quelli « in transito ». ossia in cura.
Una volta guariti, debbono far ritorno al carcere di provenienza. Oggi appunto un gruppo doveva rientrare a Montelupo ed a Volterra, due case di pena considerate « pessime ». Il gruppo ha cominciato a protestare. L'agitazione si è diffusa in tutto il carcere. I motivi della protesta si sono allargati: i detenuti hanno chiesto più acqua ( il sistema idrico del carcere è insufficiente), poi la riforma dell'ordinamento carcerario, infine lo snellimento dei procedimenti giudiziari. Alcuni hanno dato fuoco ai pagliericci di qualche cella. Il direttore del carcere, dott. Occhipinti, ha richiesto l'intervento del sostituto procuratore della Repubblica, dott. Ugo Di Stefano, il quale, giunto poco dopo sul posto, ha parlato ai rivoltosi. Intanto venivano fatti affluire agenti e carabineri, al comando del questore dott. Perris e del maggiore Cocci; giungevano anche rinforzi da Lucca, Viareggio, Pontedera, Volterra e S. Miniato.
Lo spiegamento di forze deve aver impressionato i rivoltosi, che, come già detto, erano una cinquantina (i detenuti attualmente nel carcere pisano sono 270, ma la maggioranza non ha partecipato alla sommossa). Hanno accolto l'ordine di rientrare nelle celle. Hanno voluto però una specie di salvacondotto: una dichiarazione scritta da parte del magistrato che non sarebbero stati puniti. Avuta la dichiarazione, la sommossa è finita. Erano le 17,30; mentre le autorità si riunivano per un bilancio, la maggior parte degli agenti e dei carabinieri veniva fatta rientrare nelle caserme.
Mezz'ora dopo, la rivolta è divampata di nuovo, improvvisa e violenta. Una quindicina di detenuti, sempre del secondo padiglione, si è asserragliata nel corridoio e nelle celle. Sono andati in frantumi i vetri delle finestre, sono stati incendiati i pagliericci e altre suppellettili; stavolta i detenuti avevano coltelli e sbarre di ferro e invano si è cercato di parlamentare. Il maggiore Cocci si è offerto come ostaggio durante le trattative, ma dall'altra parte non si è inteso ragione. Insieme agli slogans dalla protesta, si udivano gli insulti ai secondini, agli agenti ed ai carabinieri. Le forze dell'ordine hanno allora attaccato con un fitto lancio di lacrimogeni. I rivoltosi sono stati stanati dopo aspra lotta; gli ultimi tre hanno voluto consegnare i loro coltelli nelle mani del sostituto procuratore Di Stefano. Alcuni di loro, contusi o feriti, sono stati portati in infermeria. Alle 21,30 su due cellulari, otto sono stati tradotti a Volterra.
La Stampa 13 agosto 1971