Evandro Levrero, l'unico superstite dei tre detenuti che hanno tentato di eseguire il pazzesco piano di fuga, costato la vita a quattro ostaggi, aveva aderito alla proposta che gli era stata fatta da Cesare Concu, capo indiscusso della ribellione, perché «convinto che le possibilità di riuscita fossero del 99,99 per cento». L'ha detto nel corso del lungo interrogatorio (dalle 19 alle 24 di ieri) condotto dal procuratore Buzio e dal sostituto Parola, presente il difensore, avv. Raimondo Ricci di Genova. «Sono stato avvicinato dal Concu - afferma il Levrero - mercoledì, quando già lui e il Di Bona avellano deciso tutto. Mi è parso che la cosa potesse riuscire. Aderii convinto che mai ostaggi sarebbero stati uccisi dai miei compagni armati di rivoltella».
Le armi: ecco un elemento importante. Come sono entrate nel carcere? Chi le ha procurate? Quando sono giunte nelle celle dei detenuti che studiarono il piano? A questo proposito il superstite dice di non aver saputo nulla.
Accettate con molta riserva le giustificazioni del Levrero sulla sua partecipazione al «piano» (pare che fosse armato di coltello e che non abbia ucciso nessuno, ma tutto ovviamente è da verificare), ascoltiamo come ricostruisce le trentadue lunghe ore conclusesi poi con un massacro.
«Al momento del primo attacco, nella serata di giovedì - racconta il detenuto -, mentre tutti gli ostaggi si gettavano a terra urlando di non sparare. Di Bona ha chiamato il professor Campi: quando gli è stato a messo metro di distanza, gli ha sparato alla testa. Poi ha rivolto l'arma contro il dottor Gandolfì, facendo fuoco. Non avevo previsto che questo potesse accadere. Ho avuto paura e sono rimasto in attesa di una buona occasione per sganciarmi».
La testimonianza del detenuto sul secondo assalto è meno precisa. Avrebbe cercato soltanto di salvarsi, non partecipando alla battaglia. «Come è iniziato l'assalto - dice Levrero - mi sono rifugiato nel gabinetto, dove si erano già sdraiati a terra alcuni ostaggi. Mi sono trovato accanto ad uno degli agenti di custodia che avevamo sequestrato, il brigadiere Barbato, a lui ho consegnato il coltello dicendogli: "E' tutto finito"». Levrero non sa invece dire da chi e come siano stati uccisi i tre ostaggi, l'assistente Graziella Vassallo Giarola, il brigadiere Cantiello, l'appuntato Gaeta, e ferito l'ingegner Rossi.
Il Levrero è molto preciso sul progetto del Concu per il «dopo» (era convinto che sarebbe stato concesso a tutti di uscire dal carcere per salvare gli ostaggi): trasferimento in pulmino sino a Spinetta Marengo; richiesta di una forte somma di denaro (150-200 milioni) e di un elicottero con cui raggiungere la Sardegna. Se accontentati avrebbero liberato gli ostaggi, trattenendo invece i tre giornalisti.
La Stampa 13 maggio 1974