Mal di schiena al lavoro, e snodata durante le lezioni di pratica ascetica. Non è chiaro se abbia avuto come lume l'Harvard Medical School che in uno studio ha rivelato l'impatto positivo sulla salute dello yoga, ma di certo una agente della Polizia Penitenziaria aveva trovato una via di uscita ai suoi asseriti malesseri. Si è fatta certificare dal medico di fiducia l'inabilità al lavoro e per di più per cause di servizio, e poi si concedeva incontri di yoga con pomeriggi di rilassamento e meditazione alla ricerca dell'equilibrio tra corpo, mente e spirito. Almeno finché la vicenda non è finita all'attenzione dell'autorità giudiziaria che indagava sui comportamenti sospetti a Rebibbia da parte di alcuni secondini.
La poliziotta, una assistente capo, con la passione orientale ora rischia di finire a processo per falso e truffa aggravata. Il sostituto Carlo Villani, però, a compimento delle indagini, ha riservato le stesse contestazioni anche al medico che si sarebbe mostrato compiacente. Per la procura il camice bianco (spinto dallo stesso disegno criminoso della coindagata) giustificava l'assenza della poliziotta durante il servizio che a sua volta, sollevata dal lavoro si dedicava allo yoga percependo comunque le indennità erogate dall'Inps in caso di malattia.
Nello specifico alla poliziotta addetta all'Ufficio Colloqui del carcere, è stato contestato di aver usato una condotta «fraudolenta nel simulare l'esistenza ovvero la gravità di uno stato di alterazione e compromissione della propria condizione di salute, al punto da comportare l'inabilità lo svolgimento di attività lavorativa anche dipendente da causa di servizio». «Circostanza non vera», si sottolinea nell'imputazione, «e basata su certificati medici non veritieri». Documentazione che «induceva in errore il Corpo della Penitenziaria che a ottobre la collocava in congedo per malattia».
ilmessaggero