Il "nuovo complesso" di Roma è il più avanzato come gestione - Tuttavia ha il maggior numero di agitazioni e sommosse - La vastità e la dispersione dell'edificio accentuano i mali derivanti dalla carenza di personale - Pochi anche i medici.
Rebibbia « nuovo complesso » è il carcere giudiziario più moderno fra quelli italiani e anche il più avanzato come gestione. Ciononostante (o forse proprio per questi motivi) è il carcere che ha sommato, nei suoi tre anni di vita, il maggior numero di agitazioni e sommosse. L'anno scorso, in primavera, i detenuti fecero sette giorni di sciopero della fame; alla fine, in un giorno solo ne caddero svenuti settanta. In giugno ci fu una giornata di violenza con devastazioni. Infine dal dicembre al febbraio scorso, per due mesi, i detenuti si rifiutarono di entrare nelle celle, bivaccarono nei corridoi; nell'ambito delle sezioni facevano quello che volevano.
I motivi erano i soliti: per le mancate riforme del codice e del regolamento carcerario che da tanto vengono promesse ma mai attuate. Ci si chiede perché qui, dove si sta meno peggio che altrove, la ribellione ha attecchito di più. Qualcuno, e forse non a torto, afferma che è dipeso dall'atmosfera carceraria meno opprimente che altrove e dalle agevolazioni di cui i detenuti godevano. Il « nuovo complesso » è nato all'insegna del colossale: 20 ettari di terreno, due chilometri di cinta, tre padiglioni a forma di stella, a tre piani, altre costruzioni longitudinali. Palazzine in mattone « a vista », dall'aspetto gradevole: finestre molto ampie, con inferriate ma senza « bocche di lupo ». Le celle sono a quattro posti o a un posto, abbastanza spaziose; quelle multiple dispongono di un gabinetto in un apposito vano, chiuso; quelle singole hanno la tazza al muro, senza riparo. Nelle celle c'è l'altoparlante che diffonde i programmi radio in continuazione; le brandine sono avvitate al pavimento; materassi di gommapiuma, armadietti pensili, luce centrale e luci personali su ogni posto letto, che si possono tenere accese anche tutta la notte. Il detenuto può avere con sé la penna e carta a volontà, scrivere quando vuole, cucinare con un fornellino a bombola. Le cucine — una per il vitto normale, una per il sopravvitto a pagamento — sono ovviamente modernissime: tutto acciaio inossidabile, carrelli termostatici che portano i cibi fino alle celle più lontane, sempre caldi.
Chi si trova in cella singola c'è per una sua scelta: preferisce la solitudine alla compagnia che può non essere piacevole. Tutti i detenuti della stessa sezione si ritrovano poi insieme nei passeggi, due ore al mattino e due al pomeriggio. Non avvengono invece contatti tra una sezione e l'altra. « Dobbiamo fare gli alchimisti per evitare che certi detenuti si incontrino con altri — spiega uno dei due vicedirettori, il dott. Barbera (il direttore, dott. Restivo, è assente: s'è preso un mese di ferie dopo la lunga tensione della sommossa invernale) —. E questo per rispettare precise esigenze dei giudici istruttori. ». Ma è molto dubbio che la riservatezza richiesta dai giudici possa essere sempre osservata anche senza usare il teatro-chiesa. Ad esempio, i cortili di passeggio per gli isolati si affacciano con una rete su un corridoio largo un paio di metri oltre il quale c'è un cortile per tutta la sezione e gli ospiti dell'una parte e dell'altra si possono quindi parlare con facilità.
Non sono le uniche lacune di questa grande realizzazione carceraria. « II male peggiore — spiega il dott. Viscosi, direttore del carcere penale che è attiguo al nuovo complesso e che ora sostituisce il direttore in ferie — è la enorme dispersione. Tutto avviene con lentezza, a causa delle distanze ». E aggiunge il dott. Barbera: «Bisognerebbe invece poter mantenere i rapporti con tutti i reparti perché i detenuti si sentissero seguiti, ascoltati. Qui perdiamo il nostro tempo a far chilometri a piedi. Siamo in due vicedirettori, io e il dott. Riccio, e ne occorrerebbero altri tre perché potessimo suddividerci i reparti ». Vastità e dispersione accentuano i mali derivanti dalla carenza di personale.
Sono in servizio 480 agenti di custodia e ne occorrerebbero almeno cento in più. Ci sono soltanto otto infermieri; la notte uno solo di essi deve far fronte ai tre piani di un padiglione stellare che può ospitare anche 400 detenuti. E' stato costruito un edificio apposito per l'infermeria, ma è chiuso, non funziona per mancanza di personale: chi si ammala deve essere trasportato al centro clinico di Regina Coeli. Per tutto il complesso c'è un medico sempre presente e al mattino ne presta servizio uno per padiglione; inoltre intervengono gli specialisti per le visite particolari. Affermano in direzione: « Chi chiede il medico, viene visitato in giornata ». Mi dicono i detenuti: « Raramente ciò accade: in genere c'è sempre da aspettare alcuni giorni ». Uno sostiene: « lo ho chiesto la visita lunedì, secondo la lista la passerò sabato ».
L'anno scorso, prima della sommossa e per molti mesi, si era deciso di concedere ai detenuti una certa libertà di movimento: di giorno le celle si lasciavano aperte e ognuno era libero di passare da una all'altra, limitatamente alla sua sezione. Poi la sommossa: per due mesi le sezioni erano nelle mani dei carcerati, le celle aperte anche di notte. In quel periodo sono accaduti fatti di violenza, anche carnale, regolamenti di conti: una coperta sulla testa di uno che dormiva e una scarica di botte, poi la fuga degli aggressori nelle loro celle. Con il ripristino dell'ordine quella facilitazione è stata abolita.
Le celle chiuse ora ribollono di odio. Il malcontento è sempre a un filo dalla rottura. Parlo con i detenuti e sento battere soprattutto questo chiodo: «Siamo troppo chiusi, vogliamo le celle aperte, come prima ». Chiedono le carte da gioco, più tempo di « aria »; una migliore assistenza medica; che gli agenti frequentino un corso di psicologia. Si lamentano della qualità del cibo (qui la diaria giornaliera che lo Stato paga alla ditta appaltatrice è ancora più bassa di quella dell'Ucciardone: 480 lire) ; qualcuno protesta anche per la quantità. « La sera, a volte, ci danno solo insalata ». E' vero in parte: a mezzogiorno viene distribuito anche un uovo o un pezzo di formaggio destinato al pasto serale. « Facciamo per facilitare la distribuzione serale, sempre per il motivo della scarsità del personale» spiega il dott. Barbera. Ma il detenuto è giovane, ha fame, non ha altro da fare, l'uovo o il formaggio della cena se lo mangia alle 12 e la sera si trova soltanto l'insalata.
Non è facile il colloquio tra chi deve imporre una disciplina e chi la deve subire. Tutti sono sempre pronti alla protesta. Ognuno vorrebbe sfogarsi e a lungo. Vincenzo Teli, il « mostro del Tevere » che nel '69 strozzò due coniugi e poi li fece a pezzi, vorrebbe che lo ascoltassi su una questione di procedura penale. C'è chi ha esigenze minori, gli basterebbe poter dar agio alla propria poltroneria. Dice uno che è condannato a due anni per furto: « Se al mattino non mi va di andare alla passeggiata perché voglio dormire fino a mezzogiorno, dovrei poter stare in passeggiata di più al pomeriggio ».
La Stampa 16 aprile 1974