Comunque la si pensi sul destino di Raffaele Cutolo, un fatto è certo: in Italia non esiste un altro boss condannato come lui a quattro ergastoli che stia da mezzo secolo in carcere (e da 25 anni in regime di 41 bis). Riina e Provenzano sono morti, altri capimafia sono nelle loro celle da decenni, ma il fine-pena-mai del detenuto di Ottaviano appare davvero rispondere alla massima giustizialista: «Chiudete il cancello e gettate le chiavi». Prima che nelle sentenze, nella pubblica opinione Cutolo rappresenta l’incarnazione del male assoluto, lo spietato mandante di omicidi, l’ex capo di un esercito di migliaia di fedelissimi che lo venerava con il titolo di «’o Professore »; ma soprattutto il depositario di un patto inconfessabile, il custode geloso dei segreti di quella trattativa Stato-camorra che il Paese avrebbe il diritto di conoscere. Invece, c’è da giurarci, quegli arcani li terrà con sé fino alla tomba, languendo nella solitudine della sua angusta cella all’interno del carcere di massima sicurezza di Parma.
Il boss malato
Eppure esiste un altro pezzo di opinione pubblica, soprattutto in Campania, che ritiene inaccettabili le condizioni detentive di un ergastolano «che ha quasi 80 anni, sta malissimo, assume 14 pillole al giorno, è affetto da diabete, cataratta, prostatite e non può più muovere le mani per l’artrite», come ripete da tempo sua moglie Immacolata Iacone. Anche la coordinatrice dei Radicali, Rita Bernardini, ha spiegato che «meriterebbe una fine dignitosa, cioè di morire a casa sua». C’è di più. Francesco Franzese, un criminologo del paesino vesuviano di Saviano, membro del centro «Don Peppe Diana», ha dato vita da anni a una «petizione umanitaria» sulla piattaforma web Change.org con la quale si chiede che a Cutolo vengano concessi i domiciliari. «Da oltre 50 anni — scrive Franzese su Facebook — Cutolo vive in una “gabbia” come un animale e da oltre 30 anni è in isolamento come un morto-vivo che civilmente non esiste più. È giusto che paghi la sua pena. Infatti lui, dignitosamente, non ha mai chiesto sconti. Ma la civiltà giuridica e la società — argomenta il criminologo — devono essere più forti rispetto al crimine, garantendo la certezza della pena, per garantire, però, l’altrettanto primaria dignità dell’uomo. Nel “Caso Cutolo” invece si esercita solo il giustizialismo ideologico di Stato».
L’iniziativa del criminologo
L’iniziativa di Franzese condotta pervicacemente per anni ha dato i suoi frutti: la petizione per consentire a Cutolo di lasciare la cella si è chiusa con le firme di centomila persone proprio sulla piattaforma internazionale Change.org. Il dato è davvero sorprendente se si considera che per temi di interesse collettivo, nonostante la potenza del web, è molto difficile arrivare a centomila consensi. Come si spiega un tale exploit? Forse perché in una frangia non troppo minoritaria dell’immaginario collettivo la figura di Cutolo continua, ancor oggi, a esercitare un fascino potente. Lo testimoniano i contenuti di centinaia di post di commento alla pagina facebook della petizione. La maggioranza assoluta è dalla parte del «professore» e tutti sono nettamente contro lo Stato «torturatore». Alcuni francamente sconcertano. Scrive ad esempio Arabella S: «Prego ogni giorno che stiate bene insieme con vostra sorella Rosetta, vorrei vedervi elegante e in buona salute. Ho portato e porto pesi, ma prego Iddio che non mi privi di altre persone di peso. Mi lascerei morire».
Sul web
Enrico D.D. incalza con un lapidario: «Era il mio boss». Simone C: «Un altro dei meglio uomo con le palle ci sta abbandonando. Forza professore». Quasi lirico il commento di Gianfranco N: «Don Raffaè, per tanti siete stato meglio dello Stato ed hanno avuto beneficio da voi, ora sono tutti finti perbenisti che si dimenticano che non avevano nemmeno la carta igienica in casa. Siete da 40 anni isolato». Daniele D. la butta sul complotto politico: «Il Professore sta pagando per tutti i mali della Prima Repubblica, nonostante le sue responsabilità siano minime, se non nulle». La pagina cutoloalcarceredomiciliare incassa i like di 541 persone. Insomma, un piccolo record social che dovrebbe far riflettere sulla storia giudiziaria di un criminale il cui nome continua a evocare suggestioni e consensi da parte di persone che non se ne vergognano nel renderli pubblici. C’è da rabbrividire? Forse sì almeno a leggere quei post che esaltano le «qualità» del vecchio boss. Tuttavia, va ribadito che il sociologo Franzese è da sempre schierato sul fronte della legalità, come testimonia proprio l’impegno con il Centro Don Diana e le tante iniziative pubbliche contro la criminalità. Resta l’impressione che con la storia nera di Raffaele Cutolo tutta l’Italia debba ancora farci i conti e, forse, l’ultimo capitolo non sarà mai scritto.
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Raffaele Cutolo: potevo salvare Aldo Moro ma fui fermato. Nelle carceri eravamo più forti delle BR