Le organizzazioni criminali hanno sempre puntato ad avere propri interlocutori in politica (anche a livello locale), per sfruttare canali preferenziali soprattutto quando si tratta dell’assegnazione di appalti. Non fa eccezione il clan Fabbrocino, che – emerge dalle indagini – in occasione di una tornata elettorale, appoggiò un candidato sindaco iscritto alla corsa, in un comune del Vesuviano. Per tale vicenda, fu approntata una inchiesta che sfociò in oltre una ventina di arresti. Anche il candidato alla fascia tricolore – che tra l’altro, non era riuscito a essere eletto – finì in manette.
Relativamente al patto politico-mafioso (voto di scambio), in una informativa di polizia giudiziaria, emerge pure che il candidato sindaco ipotizzò di inserire nella sua lista, come aspiranti consiglieri comunali, due appartenenti al corpo della Polizia Penitenziaria. Il politico viene intercettato dagli 007 dell’Antimafia, mentre discute con un esponente del clan.
Quest’ultimo – è riportato nell’informativa di polizia giudiziaria, spina dorsale dell’inchiesta sul voto di scambio – «gli faceva, però, osservare come tale scelta avrebbe potuto generare il disappunto delle famiglie dei detenuti e degli ex detenuti. (Il politico) che pure condivideva la necessità di non perdere il favore di quegli elettori rendendosi conto che “ce ne stanno assai”, contrapponeva la sagace osservazione che la qualifica professionale dei due aspiranti candidati avrebbe potuto fungere da ulteriore stimolo a sostenere la sua candidatura, atteso che i votanti, in particolare i familiari dei detenuti, avrebbero saputo di poter contare su soggetti da cui ottenere favori, o informazioni in caso di bisogno».
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