In Italia 14 mila guardie per 30 mila detenuti (in Olanda tre uomini vigilano un recluso) • Il personale sottoposto a turni spossanti - Straordinario: 100 lire all'ora Come allucinati i tre criminali Gli ostaggi superstiti dicono di avere visto i banditi inghiottire numerose pastiglie.
Ho visitato, nell'ultimo mese, sei istituti di pena: ho visto, ascoltato, via via, ho anche scritto dei resoconti. Ho percepito delle atmosfere di tensione, ho sentito dire, al di qua delle sbarre, da parte di coloro che sono preposti alla sorveglianza: «Camminiamo su un filo, ogni momento può essere buono per una sommossa». E infatti notizie di rivolte compaiono sui giornali ogni due o tre giorni.
Poi ho preso parte, come cronista, alla tragedia della casa penale di Alessandria. Quest'ultimo, si dice, è un fatto isolato. Sarà vero, però dev'essere inserito in quest'ambito generale che, come si è visto, è di tensione. E' possibile individuare le lacune, capire dove c perché la situazione è deteriorata? E ancora: si è fatto qualcosa per migliorare le condizioni dei detenuti?
Parlo di questi problemi con il direttore generale degli istituti di pena, dottor Giuseppe Altavista. Ammette che, nell'insieme, il complesso degli edifici è assolutamente inadeguato ai compiti richiesti. «Ci stiamo muovendo, abbiamo già un cerio numero di carceri nuove, altre ne stiamo costruendo con un finanziamento di cento miliardi. Ma quello che resta da fare è un volume di lavoro immenso. Pensi che le prigioni italiane di una certa importanza, cioè escludendo quelle mandamentali, presso le preture, sono 267, e ognuna ha i propri difetti. Senza contare che ci sono istituti di pena che ospitano oltre mille detenuti (San Vittore addirittura 1500), mentre si è capito che la dimensione ideale di un carcere è di 250 posti».
Non solo le strutture sono carenti. A passare da un carcere all'altro si direbbe che ognuno osservi un regolamento proprio, diverso dagli altri. Ci sono finestre mutilate dalle «bocche di lupo», altre del tutto aperte all'aria e alla luce; in taluni istituti si possono scrivere due lettere la settimana e non si può disporre, negli altri giorni, nemmeno della matita per le parole incrociate; non si può tenere la radiolina; non si può uscire dalla cella se non per andare al lavoro o al passeggio; si gode di un periodo di «aria» nel cortile, misurato col cronometro. Altrove, invece, si possono scrivere lettere a volontà, tenere matite, penne, radioline, mangianastri, magnetofoni; si può stare, come nel carcere di Alessandria, a passeggio dalle 9 alle 16,30, con un'interruzione facoltativa per il pasto e a colloquio con i propri familiari dalle 9 alle 16, ininterrottamente, oppure si può godere dal mattino alla sera della libera circolazione.
Molte cose vanno male perché manca il personale di custodia. I servizi risentono tutti di questa penuria e chi ne fa le spese è il detenuto. Quasi dappertutto il passeggio finisce alle 15,30, quando ci sono ancora, d'estate, almeno quattro ore di sole. I direttori vorrebbero lasciare i detenuti ancora all'aria, ma alle 16 c'è il cambio del turno delle guardie e quelle che montano sono in numero ridotto che si assottiglierà ancora di più nella sera. Gli agenti di custodia sono pochi. Circa 14 mila, per quasi 30 mila detenuti. In Olanda, che è il Paese più progredito in fatto di carcerazione, ci sono quasi tre agenti per ogni detenuto; però i carcerati sono pochissimi perché si tende a lasciar libero anche chi è colpevole di reati di una certa gravità.
Gli agenti sono costretti a turni spossanti, in certi casi non hanno riposo settimanale: a San Vittore fanno festa soltanto una domenica ogni due mesi. Le ore di lavoro fatte in più risultano, amministrativamente, pagate come straordinario, che però si riduce a cento lire l'ora o poco più. Mi diceva un direttore: «A volte mi fanno più pena gli agenti di custodia che i detenuti. Gli agenti vivono praticamente solo a contatto con i carcerati, ne respirano la loro atmosfera malata, non hanno né la forza, né la possibilità, né il tempo di distrarsi culturalmente».
Mancano, oltre agli agenti, i direttori. Dice il dottor Altavista: «Con la legge sull'esodo, i maggiori esponenti della nostra amministrazione se ne sono andati mettendola in crisi. In giugno dovremmo assumere un centinaio di direttori, ma resteranno ugualmente vacanti altri settanta posti». C'è chi deve reggere non uno o due carceri, ma persino quattro, come il dottor Sarlo, che dirige quelli di Alessandria, Vercelli e Novara. Per il vitto ci si lamenta ovunque, non tanto sulla quantità, quanto sulla qualità dei cibi. Le ditte, che hanno in appalto il mantenimento dei detenuti, percepiscono dallo Stato diarie irrisorie, talvolta addirittura al di sotto delle 500 lire al giorno per ogni persona, somma che le impegna non solo al mantenimento dei detenuti, ma alla pulizia dei locali, alla fornitura della cancelleria per gli uffici, persino al servizio di barbiere dei carcerati.
Ho chiesto, nel corso delle mie visite, se le facilitazioni che via via sono state concesse in questi ultimi tempi ai detenuti, possono avere contribuito al diffondersi delle sommosse. I direttori con una certa anzianità, che avevano conosciuto e usato i metodi più rigidi del passalo, sono convinti che più si concede, più dall'altra parte si pretende. Il dottor Altavista dice: «Le celle aperte di giorno hanno senso se il detenuto può essere impegnato nelle attività lavorative o culturali o di svago. A Rebibbia, prima della rivolta iniziatasi nel dicembre scorso e conclusasi nel febbraio, si erano aperte le celle senza che fossero pronte le attività lavorative e cosi si erano verificali gravi inconvenienti, anche aggressioni e rappresaglie fra gli stessi detenuti ».
La Stampa 15 maggio 1974