L'allarme dell'amministrazione penitenziaria: "Così si rischia l'alleggerimento del carcere duro". Piscitello: "Si pronunci la Cassazione". Attualmente sono 732 i detenuti sotto processo o condannati sottoposti al "carcere duro". L'ultimo campanello d'allarme è suonato nel carcere de L'Aquila, dove si trova la maggior parte dei detenuti al "41bis".
Il 4 giugno scorso, in 51 (su un totale di 151) hanno chiesto udienza al magistrato di sorveglianza, dopo che la sera prima uno di loro aveva gridato da una cella: "Questi ora vogliono aprire Pianosa e ci faranno morire, proviamo a chiedere il colloquio con il magistrato di sorveglianza e parliamone con lui!". La voce veniva dal fondo di un corridoio ed è rimasta anonima, ma ciò che è accaduto l'indomani, quasi una class action preventiva, fa pensare ad altri contatti che le regole del "carcere duro" dovrebbero invece impedire.
I timori espressi, in quel caso, erano legati all'ipotesi circolata in quei giorni che alla guida del Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, potesse andare il pm antimafia Nino Di Matteo (al quale il ministro della Giustizia aveva effettivamente pensato, prima di cambiare idea e nominare un altro). Tuttavia le preoccupazioni circa un possibile allentamento del "regime speciale" si fondano su altri episodi, e arrivano dall'interno dello stesso Dap.
Attualmente sono 732 i reclusi sotto processo o condannati per appartenenza a Cosa nostra, camorra, 'ndrangheta e altre organizzazioni criminali sottoposti al "carcere duro", per via della loro pericolosità. L'obiettivo delle limitazioni rispetto al regime ordinario è tagliare i canali di collegamento con l'esterno e tra di loro, e per questo motivo i colloqui avvengono sempre attraverso un vetro divisorio e il videocitofono. Ma il direttore dell'ufficio detenuti e trattamento, Roberto Piscitello, denuncia da tempo la possibilità che vengano concessi colloqui diretti, riservati e senza controlli, non solo al Garante nazionale dei detenuti (come prevede espressamente la legge), ma anche a quelli regionali e comunali. Sui quali non c'è alcuna "certificata affidabilità", dice Piscitello, che aggiunge: "Quali garanzie può dare in più il rappresentante locale rispetto a quello nazionale? Questa estensione rappresenta un vulnus grave al divieto di contatti con l'esterno, e può diventare rischiosa per gli stessi garanti locali, ai quali potrebbero essere affidati messaggi o richieste indebite persino a loro insaputa".
In attesa che su questo si pronunci la Cassazione, Piscitello auspica che il Parlamento specifichi, per legge, il divieto per quei colloqui riservati. E denuncia l'ulteriore problema delle due ore giornaliere previste per il passeggio all'aperto, che alcuni giudici di sorveglianza aggiungono alle altre due di "socialità" al chiuso (da svolgersi fra quattro detenuti al massimo). "La legge stabilisce un limite di due ore alla possibilità d'incontro con altre persone - spiega il dirigente del Dap, e finché non si cambia non si può superarlo con l'aggiunta delle ore d'aria che pure si effettuano in compagnia".
Anche su questa questione si arriverà a un verdetto della Cassazione, ma nel frattempo Piscitello propone un chiarimento per legge che eviti la violazione surrettizia della norma. Evitando, per contro, interpretazioni restrittive su altri aspetti che nulla hanno a che vedere con le finalità del "carcere duro". Come è successo di recente a Novara, dove a un "41bis" è stata bloccata una lettera in uscita nella quale disponeva un finanziamento per l'associazione Nessuno tocchi Caino, legata al partito radicale. Provvedimento confermato dal Tribunale di sorveglianza in virtù di "una nota del Dap che ha espressamente esposto di intercettare tutte le missive contenenti materiale da inviare alla detta associazione". In realtà, chiarisce Piscitello, "non esiste né può esistere una norma, e tantomeno una circolare del Dap, che impedisca ai detenuti di scrivere a chiunque o finanziare movimenti. Si è trattato di un invito della Polizia Penitenziaria a segnalare lettere che potessero destare preoccupazioni per l'insorgere di proteste e disordini, ma non mi pare questo il caso. I problemi sono altri".
Corriere della Sera