Dopo il pestaggio del commercialista parmigiano legato alle cosche, minacce via posta all'indirizzo "segreto" di un collaboratore di giustizia testimone del maxi processo Aemilia
Questa volta gli hanno fatto sapere che lo avevano individuato con una lettera recapitata all’indirizzo della località “segreta” dove si trova nascosto. I clan della ‘Ndrangheta hanno nuovamente individuato il “sito protetto” di un pentito. Nei giorni scorsi, le minacce di morte sono arrivate via posta a Giuseppe Liperoti, 37 anni, collaboratore di giustizia, genero di Antonio Grande Aracri e nipote acquisito del boss dei cutresi Nicolino Grande Aracri. Non è la prima volta, la scorsa settimana si era saputo di un altro caso. In quell’occasione ad essere individuato e aggredito a calci e pugni era stato Paolo Signifredi, 53 anni di Baganzola di Parma, commercialista ritenuto dagli investigatori vicino ai Grande Aracri.
A Signifredi, pestato a sangue e ridotto in fin di vita (i fatti sono del 18 aprile ed è ancora in ospedale) era stato detto di “ritrattare le dichiarazioni rese in diversi processi”, altrimenti sarebbero tornati. Due episodi inquietanti, che dimostrano come i clan calabresi siano in grado di individuare i nascondigli dove i pentiti sono tenuti dal servizio di protezione. I boss, inviando una lettera intimidatoria a Liperoti lanciano così un messaggio chiaro a tutti i collaborati di giustizia, dicendo loro che l’organizzazione è in grado di trovarli ovunque.
Attorno a Liperoti, tra l’altro, c’è da tempo parecchia tensione, in luglio qualcuno diede fuoco alla sua casa a Cutro, pochi giorni dopo che al processo Kyterion (scaturito da un’operazione contro i Grande Aracri contemporanea ad Aemilia) era stato depositato un verbale su un suo interrogatorio da parte della Dda di Catanzaro.
Viste le falle nella rete di protezione, nei giorni scorsi in tanti avevano stigmatizzato quanto accaduto a al commercialista parmense.
Il procuratore della Direzione nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho aveva parlato di “episodio molto grave”, aggiungendo “lo Stato ha il dovere di garantire la sicurezza di chi collabora, dei testimoni di giustizia e di chi ha dimostrato la propria vicinanza con la denuncia. Bisognerà comprendere come ciò sia avvenuto”. Nelle scorse ore il secondo episodio, segno evidente di un sistema protettivo che i clan sono in grado di aggirare agevolmente.
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