Il fermo di polizia non può essere protratto oltre le 48 ore - Gli interrogatori debbono essere fatti dal magistrato; la nomina del difensore è immediata - Nessuno è tenuto a deporre contro sé stesso: l'imputato ha la facoltà di non rispondere - Gli agenti informano subito le famiglie dei fermati.
Per una coincidenza di date del tutto casuale, ma egualmente ricca di significato, il primo fatto nuovo del 1970 emerge, senza dubbio, dal settore della giustizia penale. Proprio ieri è entrata in vigore, dopo quindici mesi di intensa elaborazione, la legge 5 dicembre 1968 n. 932, che modifica radicalmente alcuni capitoli fondamentali dell'indagine processuale.
La riforma ha un duplice intento. Da un lato, adeguare il sistema agli insegnamenti della Corte Costituzionale in materia di polizia giudiziaria e diritto di difesa (peccato che non si sia tenuto conto anche della sentenza 27 novembre 1969 n. 149, depositata subito dopo l'approvazione definitiva della nuova legge); dall'altro, anticipare qualche punto-cardine del futuro Codice di procedura in tema di libertà personale ed avviso di procedimento.
Globalmente considerata, la riforma implica una serie di sensibili passi innanzi sia sul piano di una crescente attuazione di quella legalità costituzionale, che rappresenta la chiave di volta per ridare genuinità ed infondere vitalità alla nostra democrazia; sia sul piano di un'effettiva realizzazione di quei valori d'umanità e civiltà giuridica, che, come dimostra l'esperienza inglese, sono indispensabili per una giustizia e, più in generale, per uno Stato preoccupati di suscitare fiducia ed ottenere "collaborazione.
Esemplare in tal senso la nuova norma che, per i casi di arresto in flagranza o di fermo, vincola gli organi di polizia a darne notizia, senza ritardo, ai familiari della persona arrestata o fermata, a meno che questa non lo voglia.
I difensori
Altrettanto importante sotto il profilo umano l'espressa formulazione del principio in base a cui nessuno è tenuto a deporre contro sé medesimo.
Due ne sono le estrinsecazioni. La prima riguarda chi viene sentito come imputato o indiziato di reità: ogni interrogatorio deve essere preceduto dall'avvertimento che l'imputato o l'indiziato « ha la facoltà di non rispondere ». La seconda riguarda chi viene ascoltato come, testimone: qualora nel corso dell'interrogatorio risultino indizi di reità a suo carico, il giudice (o, aggiungiamo, il pubblico ministero o l'ufficiale di polizia giudiziaria) « lo avverte che da quel momento ogni parola da lui detta può essere utilizzata contro di lui », gli rivolge « l'invito a scegliere un difensore di fiducia » e « rinvia l'interrogatorio ad altra seduta ». Naturalmente, le dichiarazioni rese in precedenza « non possono, comunque, essere utilizzate ». Con il che dovrebbe una buona volta cessare il pericoloso malvezzo di sentire inizialmente come semplice testimonio, privo di qualsiasi diritto, chi già si profila come probabile imputato.
L'esigenza di assicurare massima chiarezza ai rapporti tra l'autorità giudiziaria e i singoli individui coinvolti in un procedimento penale non si arresta qui. Essa assurge, anzi, a principio di portata generalissima, nel senso che il pretore, il pubblico ministero o il giudice istruttore è obbligato, « sin dal primo atto » di preistruzione o di istruzione da uno di essi rispettivamente compiuto, a comunicare avviso di procedimento a tutti coloro « che vi possono avere interesse come parti private » (comprese le persone danneggiate od offese dal reato), invitandoli nel contempo ad esercitare subito la facoltà di nominare ciascuno un proprio difensore. L'avviso di procedimento non è, invece, previsto in relazione agli atti preliminari posti direttamente in essere dalla polizia giudiziaria. Tuttavia, nemmeno a questo proposito mancano le innovazioni di rilievo, a parte la già ricordata comunicazione dell'arresto o del fermo ai familiari dell'interessato. Diremmo, addirittura, che si tratta delle novità principali.
Prima di tutto, il legislatore si è preoccupato di chiarire bene attraverso quali modalità le garanzie difensive dell'istruzione formale possono estendersi alla fase di polizia giudiziaria, in conformità a quanto fatto presente dalla Corte Costituzionale.
L'ufficiale che procede è legittimato a ricevere la nomina del difensore di fiducia, mentre la nomina del difensore d'ufficio dev'essere richiesta al pubblico ministero; il difensore ha diritto di assistere alle ricognizioni e alle perquisizioni domiciliari, mentre i verbali degli atti che la difesa ha diritto di esaminare vengono depositati presso il pretore ò il pubblico ministero con successivo avviso al difensore.
Situazione capovolta
Ma l'aspetto più interessante è un altro. Come già ta passato, il legislatore distingue nettamente a seconda che l'indiziato si trovi a piede libero, oppure sia sottoposto ad arresto o fermo da parte della polizia. Fino ad ora, quest'ultima aveva maggiori poteri nel secondo caso che non nel primo. Adesso, la situazione appare capovolta. Nelle ipotesi di indiziato a piede libero, il nuovo testo dell'art. 225 del Codice di procedura penale legittima gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria a compiere tutti gli atti ivi elencati, alla sola condizione — invero, estremamente discrezionale — che vi sia urgenza di raccogliere le prove. Viceversa, nelle ipotesi di arresto o di fermo, la polizia ha visto drasticamente ridotti i suoi poteri, con corrispondente ampliamento di quelli del magistrato. E ciò da due direzioni: la polizia non potrà più provvedere all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato né alle ricognizioni di persone e ai confronti cui partecipi lo stesso arrestato o fermato; inoltre, è stata esclusa la possibilità di prorogare il fermo di polizia sino al settimo giorno, di modo che, al massimo dopo 48 ore, il fermato si troverà nella disponibilità diretta del pretore o del pubblico ministero. Basta porre mente — altra coincidenza sintomatica — alle ancora incandescenti polemiche suscitate dal caso Valpreda e dal caso Pinelli, in relazione alle indagini svolte dalla polizia sulla strage di Milano, per comprendere agevolmente che cosa significhi la riforma. Se questa legge, approvata pochi giorni prima dei fatti di Milano e di Roma, fosse già stata in vigore, né Valpreda né Pinelli, ta quanto fermati, avrebbero potuto essere interrogati dalla polizia. Solamente il Procuratore della Repubblica ne avrebbe avuto la competenza. Lo stesso si dica per la ricognizione del Valpreda. Quante discussioni, quante incertezze, quanti drammi si sarebbero evitati!
La riforma, nonostante le complicazioni e l'aggravio di lavoro che porta con sé, non potrebbe trovare terreno più fertile per una calda adesione da parte dell'opinione pubblica. Si faccia in modo che le strutture giudiziarie siano prontamente adattate alle nuove regole.
Giovanni Conso - La Stampa 2 gennaio 1970