L'interrogatorio dell'ergastolano Giorgio Panizzari, incominciato sabato pomeriggio nelle carceri di Fossano, e sospeso alle ore 20, è ripreso ieri mattina poco dopo le sei. Il sostituto procuratore della Repubblica di Viterbo dottor Consolato Labate, presente il difensore avvocato Aldo Perla, ha notificato al detenuto un ordine di cattura per “duplice tentato omicidio nei confronti del brigadiere Bernini e dell'appuntato Agostinelli (i due agenti di custodia feriti durante la rivolta), sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione sovversiva e detenzione abusiva di armi, con le aggravanti della recidiva e del fatto che si trovava in un luogo di espiazione di pena”.
Il Panizzari ha ascoltato con noncuranza le nuove accuse che gli sono state mosse, dicendo che non riconosce gli atti della “giustizia borghese” ma soltanto quelli della “giustizia rivoluzionaria”. Assumendo un atteggiamento arrogante, ha proclamato di essere uno dei capi dei “nuclei armati proletari” (nap) e ha rivendicato la responsabilità del rapimento del consigliere di Cassazione, dottor Di Gennaro. Sarebbe stato così il Panizzari, dal carcere di Viterbo, a impartire gli ordini affinché il magistrato romano fosse prelevato e rinchiuso in una loro “prigione”. “Avremmo anche potuto scappare - ha detto - ma non l'abbiamo fatto perché il nostro scopo è un altro. Abbiamo scelto il dottor Giuseppe Di Gennaro, non perché magistrato, ma in quanto direttore del Centro studi penitenziari. Abbiamo voluto rendere di pubblico dominio le deficienze di un sistema carcerario che viene sbandierato come rieducativo e che invece è repressivo”.
Al momento del trasferimento da Viterbo a Fossano, il Panizzari è stato perquisito e in tasca gli sono stati trovati cinque biglietti da diecimila lire i cui numeri di serie corrispondono a quelli registrati perché stampigliati sulle banconote pagate per il riscatto dell'industriale napoletano Moccia. Altri denari della stessa provenienza sono stati rinvenuti in tasca a Martino Zichitella e a Pietro Sofia, i due detenuti per i quali i “nap” hanno chiesto e ottenuto il trasferimento rispettivamente a Saluzzo e ad Alessandria. Altri soldi del riscatto Moccia erano stati trovati anche nell'appartamento situato nel centro di Napoli, saltato in aria per lo scoppio di un ordigno esplosivo che due presunti nappisti stavano preparando.
Il Panizzari ha confessato senza alcuna reticenza che le armi (pistole e coltelli) gli erano state portate in carcere da elementi nappisti di cui, per ovvie ragioni, non ha fatto i nomi. E così pure la radio con la quale captavano le comunicazioni dei carabinieri, e di cui si sono serviti in prigione per ottenere il collegamento con elementi di fuori i quali obbedivano ai suoi ordini. Nel corso dell'interrogatorio ha fornito prove che tutte le sue dichiarazioni corrispondevano alla verità. In merito all'omicidio dell'orefice Giuseppe Baudino, egli continua a proclamarsi innocente e vittima di una macchinazione, anche se la condanna all'ergastolo è diventata definitiva. Il suo complice Giuseppe Cardillo si ripropone di chiedere una revisione del processo, e nel caso in cui fosse concessa, il Panizzari si assocerebbe per beneficiare di un altro processo, ma ha già detto che non fa affidamento su un nuovo giudizio finché i giudici amministrano la “giustizia borghese”. Il Panizzari ha detto al dottor Labate: “Spero che non vi saranno rappresaglie su coloro che ci hanno aiutati e su mia moglie, altrimenti la prossima volta saremo costretti ad agire con la mano più pesante”. La donna, ch'egli ha sposato quando era già in carcere per il delitto Baudino, si è resa irreperibile dal giorno in cui i carabinieri l'hanno cercata per interrogarla sui fatti di Viterbo.
Intanto a Fossano è stato raddoppiato il servizio di guardia nell'interno delle carceri che si trovano nel centro dell'abitato, e ieri è stato disposto anche un cordone di carabinieri all'esterno.
La Stampa 19 maggio 1975