«I capi della ‘ndrangheta fanno partire gli ordini dalle carceri». Lo sostiene Aldo Di Giacomo segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria riferendosi all’omicidio di Pesaro.
“I boss comandano da dietro le sbarre più di prima”
Secondo Di Giacomo, dopo il recente blitz con l’arresto di esponenti di spicco delle famiglie della ‘ndrangheta crotonese e dopo che buona parte dei boss sono finiti dietro le sbarre, è da qui che continuano a svolgere compiti criminali di controllo dei territori oppure di delitti. Un modo per dare il segno della loro forza e presenza impartendo ordini agli uomini in libertà. «È da tempo che mettiamo in guardia il Ministero di Grazia e Giustizia, l’Amministrazione Penitenziaria, gli inquirenti, i comandi delle forze dell’ordine: il contrasto alla criminalità organizzata, oltre che attraverso inchieste ed operazioni che colpiscono ripetutamente ‘ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita va attuato anche nelle carceri. Di Giacomo sostiene di avere messo sul chi va là l’Amministrazione Penitenziaria e la magistratura: «le operazioni di reclutamento di nuova manodopera criminale avvengono proprio in cella ad opera di capi clan che continuano a dare ordini all’interno e all’esterno delle carceri».
“Nelle carceri i cellulari sono usati tranquillamente”
«Del resto, non è un caso che lo scorso anno – continua Aldo Di Giacomo – il numero totale di cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani è di 337. Quasi due per ogni carcere. Con un aumento del 58,22 per cento rispetto al 2016 (quando i cellulari e/o sim rinvenuti furono 213). Anche per questo insistiamo a non assumere atteggiamenti ‘buonisti’ e permissivi nei confronti dei detenuti sottoposti al 41 bis magari con l’illusione di bloccare i ”pizzini” e gli ordini che i boss dalle celle impartiscono comodamente con il telefonino».
Carcere duro 25 anni dopo, l’allarme della Polizia Penitenziaria
«A 25 anni dalla introduzione del regime carcerario duro per i boss il problema centrale – dice ancora Di Giacomo – non è certo quello di regolamentare e uniformare in tutti gli istituti penitenziari la reclusione dei 728 detenuti ad oggi sottoposti al 41 bis, quanto, piuttosto, almeno per noi, è garantire che il regime carcerario non diventi “più comodo”. Si metta piuttosto in condizione il personale di Polizia Penitenziaria di fare il proprio lavoro in piena sicurezza dotandolo di strumenti adeguati».
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