Negati ulteriori incontri in carcere tra la figlia di Borsellino e i boss Graviano. Si temono depistaggi
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MAFIA 41-BIS Negati ulteriori incontri in carcere tra la figlia di Borsellino e i boss Graviano. Si temono depistaggi 20/05/2018 

Le Procure antimafia hanno detto «no» alla possibilità di un nuovo incontro tra Fiammetta Borsellino e Filippo Graviano, il maggiore dei fratelli condannati per le stragi del 1992. Un parere negativo destinato a pesare sulla decisione finale che spetta al ministro della Giustizia. Il motivo dell’unanime diniego espresso dagli inquirenti di Palermo, Caltanissetta e Firenze, oltre che dalla Direzione nazionale antimafia, sta anche nel contenuto dei colloqui che i due boss hanno avuto nel dicembre scorso con la figlia minore del giudice assassinato nell’eccidio di via D’Amelio, il 19 luglio ‘92, svolti nei due penitenziari di massima sicurezza dove i Graviano stanno scontando, da 25 anni, l’ergastolo al «carcere duro».

Si sono parlati attraverso il citofono e il vetro divisorio, consapevoli di essere ascoltati e registrati, e le parole dei capimafia rimaste incise sui nastri hanno fatto sorgere in qualche inquirente il timore di inquinamenti e depistaggi. Il più imbarazzato dei due è sembrato Filippo, comunque fermo nel negare ogni responsabilità nella strage: «Io capisco il suo dolore e mi dispiace… però non ho avuto una parte attiva in questa vicenda, sono stato condannato perché non potevo non sapere, tutte le mie condanne derivano da questo teorema».

Giuseppe invece, quello che secondo il pentito Spatuzza fu il regista delle bombe del 1993 e gli confidò un presunto patto tra la mafia e Berlusconi, è stato più determinato: «Lei ha fiducia della magistratura attuale? Come mai non hanno scoperto ancora chi ha ucciso la buonanima di suo papà?». Fino a diventare quasi aggressivo: «A nessuno interessa far emergere la verità della morte di suo padre, sono due cose distinte con la morte di Giovanni Falcone… A lei non interessa sapere chi ha ucciso suo papà… se qualcuno non era amico di suo papà… meglio morire e non far emergere la verità».

Frasi sibilline, forse messaggi a cui si sono aggiunte strane aperture quando Fiammetta Borsellino ha domandato al capomafia come trascorresse la sua vita prima dell’arresto. «Io ero latitante, non voglio raccontare cose — ha risposto Giuseppe Graviano —. Mi sono trasferito al Nord… Frequentavo alcune persone tra cui Baiardo Salvatore (già condannato per favoreggiamento dei due boss, ndr) di Omegna sul lago d’Orta, dove trascorrevo la latitanza. Frequentavo anche commercianti, familiari, avvocati e personaggi politici, tra cui anche quello… lo dicono tutti che frequentavo Berlusconi… più che io era mio cugino che lo frequentava… facevo una vita normale, nei salotti. Andavo a divertirmi, al teatro Manzoni, Andavo a Forte dei Marmi, Abano Terme, Venezia…». Ecco dunque spuntare, in maniera un po’ sibillina, il nome del leader di Forza Italia, nuovamente sotto inchiesta per le stragi del ’93, a Firenze, dopo le intercettazioni dei colloqui in carcere dello stesso Graviano con il suo compagno di detenzione. Fiammetta Borsellino non ha ovviamente chiesto di più, ma Graviano jr ha lasciato la traccia che evidentemente voleva lasciare, ben sapendo di essere registrato.

Come lo sapeva Filippo Graviano quando ha ribadito la sua estraneità nell’attentato di via D’Amelio, e alla figlia del magistrato assassinato ha detto, in sostanza, di ritenersi un ex mafioso: «Ho fatto un mio percorso di revisione in questi lunghissimi anni, e oggi comprendo che significa avere dei valori di legalità, di etica, di correttezza… La mia responsabilità è di avere vissuto per il denaro, e di avere approfittato di questa associazione per arricchirmi». Lui sostiene che al tempo della strage già s’era allontanato dalla Sicilia, «ma dirlo oggi non mi crederebbe nessuno». In un’ora di colloquio Fiammetta l’ha più volte sollecitato a dare un «contributo di onestà», ma Filippo Graviano ha alzato un muro: «Sul fatto di suo padre, assolutamente no… Non saprei dirle nulla completamente…». La figlia del magistrato ha insistito: «Lei ha un bagaglio di conoscenze… ha avuto delle relazioni, ha frequentato persone… Perché queste cose non le può anche condividere?». Graviano è rimasto in silenzio per diversi secondi, lasciando trasparire un’evidente difficoltà nella risposta, e solo più avanti ha spiegato: «Io una volta ho detto ai magistrati “se dovessi dire la verità sulla mia vita passata… voi mi rimandereste in cella come per dire ci sta facendo perdere tempo”, perché io purtroppo… si è determinata una verità». E ancora: «Tutto il mondo pensa il peggio di me, io non potrò mai fare nulla per fare cambiare idea a una sola persona».

Fiammetta Borsellino se n’è andata ribadendo che un’altra scelta fosse ancora possibile, perché «non è vero che non c’è gente che vi possa accogliere nel momento in cui viene dato un segnale». Ora vuole tornare in quel carcere per riprendere il dialogo e provare a ottenere quel «contributo di verità» su una vicenda — la morte di suo padre — in parte ancora oscura, oggetto di processo dove sono stati orditi depistaggi che hanno fatto condannare anche degli innocenti scarcerati dopo vent’anni di galera. Ma i magistrati hanno detto «no»; per eventuali collaborazioni con la giustizia la legge prevede altri percorsi.

roma.corriere.it


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