MODENA. Un architetto modenese di 63 anni è sotto processo per appropriazione indebita. È accusato di aver fatto sparire circa 120mila euro nella sua gestione da presidente di una cooperativa che 13 famiglie di agenti della Polizia Penitenziaria, municipale, di Stato avevano creato per acquistare i loro appartamenti in zona Vaciglio. Un ammanco enorme spuntato quasi per caso dopo alcuni dubbi, accertato tra tanti ostacoli e che in seguito ha portato a ripianare ingenti spese di bollette e imposte mai pagate per una cifra probabilmente superiore. È una vicenda dolorosa che si è conclusa da poco, dopo anni tempestosi di conti in rosso nonostante siano stati aggiunti risparmi per chiudere le falle contabili che emergevano. Ieri al processo - che vede l’architetto difeso dall’avvocato Alessandro Sivelli e le famiglie presunte defraudate parte civile assistite dall’avvocato Giacomo Tognetti - hanno testimoniato l’agente che ha presentato l’architetto ai coinquilini e altri due soci.
La cooperativa Edilizia Sociale per Le Forze dell’Ordine è nata nel 2008 per riscattare un palazzo di via Montalcino sottoposto a vincolo prefettizio. Gli agenti che lo abitano - 13 nuclei familiari - pagavano un affitto alla Prefettura che a loro avviso era frutto di calcoli irregolari. Mentre era in corso un contenzioso legale, uno di loro ha introdotto l’architetto oggi imputato, 63enne con studio avviato, che si è presentato come perito del tribunale. Una figura autorevole ai loro occhi che ha proposto di aprire una cooperativa per sfruttare le agevolazioni e poter superare la proprietà prefettizia diventando proprietari degli appartamenti. Una proposta entusiasmante. L’architetto si è fatto nominare presidente della coop senza però mai parlare di spese e commissioni per la sua attività. A lui confluivano tutti i soldi: i due milioni che sono serviti per acquistare il palazzo; i 250mila euro che servivano come deposito di garanzia per il mutuo bancario; gli affitti da 500 euro al mese che servivano a pagare la quota del mutuo mensile in vista del riscatto finale. Dopo un anno sono affiorati i primi dubbi.
«Alle assemblee di soci ci parlava per ore in modo noioso di progetti e progetti. Mai di spese e rendiconti - ha raccontato un agente socio - poi un collega ci ha aperto gli occhi e da lì è nato tutto». Quando nel 2012 i soci hanno iniziato a chiedere ragione delle spese, l’architetto si è chiuso a riccio. Per ottenere i documenti, è stata necessaria un’ingiunzione del Tribunale Civile, ma per seguirla ci ha messo mesi e mesi. Il buco era pesante: mancavano più di 120mila euro, a quanto pare. C’erano fatture a società delle quali era socio e anche bonifici ingenti per consulenze. Poi sono emerse a valanga bollette, imposte e spese mai pagate. Una voragine. La prossima udienza parleranno i testi della difesa.
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