Così il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, ha scritto su Facebook nel ventottesimo anniversario della strage di via D'Amelio.
Un’esplosione, un boato, tutto in pochi attimi. Sono trascorsi ventotto anni dalla strage di Via D’Amelio in cui vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina.
La mia vicinanza va innanzitutto ai loro familiari che, in quei maledetti istanti, vennero violentemente privati dei loro cari. Quei familiari che ancora oggi attendono una risposta dalla giustizia italiana che, con mille difficoltà, ostacoli e depistaggi, continua a cercare la verità.
Ed è una verità a cui hanno diritto, non solo le famiglie, ma tutto il popolo italiano che, in quel pomeriggio del 19 luglio 1992, ad appena due mesi di distanza dalla strage di Capaci, subì una nuova ferita che non verrà mai rimarginata. Il popolo siciliano reagì con forza, scese per strada per urlare con rabbia e dolore che la Sicilia non si sarebbe mai arresa alla mafia.
Davanti a quelle immagini atroci, tutto il popolo italiano si sentì unito nel percorrere l’unica strada possibile: la lotta alla mafia senza quartiere. Una lotta che, come ci ha insegnato Paolo Borsellino, deve essere anche culturale, contro ogni genere di comportamento, parola o silenzio complice di un fenomeno, quello mafioso, che deve essere condannato come il peggiore dei mali possibili. Anche lo Stato ha reagito ma purtroppo non è sempre stato all’altezza del suo popolo, a cominciare dal fatto che non è stato in grado di proteggere i propri servitori.
Questa consapevolezza oggi deve servire a non abbassare la guardia, nemmeno per un istante. È una vera e propria guerra, che non deve conoscere pause nella consapevolezza che la mafia si è evoluta e ci pone di fronte a sfide sempre nuove: dalla lotta alla corruzione (strumento principale con cui le mafie si infiltrano nel tessuto economico del paese) al voto di scambio politico mafioso; dalla necessaria legge sull’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario - anche a difesa del regime detentivo previsto dall’art. 41 bis (fondamentale nella interruzione di ogni rapporto tra il mafioso e l’associazione criminale) - alla ricerca della verità sulle stragi e dei responsabili non ancora individuati.
È una guerra da portare avanti tutti insieme, compatti: politici, magistrati, avvocati, giornalisti, docenti e, in generale, tutti i cittadini, ogni giorno, ciascuno nel proprio ruolo, con le istituzioni in prima linea.