La Cassazione boccia il ministero di Giustizia e decreta: per la detenzione in condizioni disumane e degradanti il diritto dei detenuti a ricevere dallo Stato un «indennizzo» di otto euro per ogni giorno passato in celle troppo piene, si prescrive in dieci anni e non in cinque, come sostenuto da via Arenula in un ricorso.
A stabilire il termine decennale per far valere il diritto a rivalersi sullo Stato come responsabile «per la detenzione in condizioni degradanti», sono stati i supremi giudici delle Sezioni Unite civili della Suprema Corte nel verdetto depositato oggi. «Il diritto ad una somma di denaro pari a otto euro al giorno per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi» ai criteri fissati dalla Convezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamental «si prescrive in dieci anni, che decorrono dal compimento di ciascun giorno di detenzione» in situazione di sovraffollamento», affermano gli ermellinI con riferimento a chi sta scontando la pena.
Per quanto riguarda le persone che hanno invece finito di pagare il loro conto con la giustizia prima dell'entrata in vigore del decreto 92 del 2014, la Cassazione spiega che il termine dal quale far partire la prescrizione - sempre decennale - «non opera prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto legge approvato dal Governo dopo le condanne di Strasburgo, su tutte la sentenza TorreggianI, per la situazione delle nostre carceri e la mancata previsione di strumenti di risarcimentO economico. Ad avviso degli ermellinI, la legge del 2014, ha «carattere retroattivo». «Lo si desume dalla premessa e dal senso complessivo della normativa - scrivono - finalizzata a definire anche le situazioni pregresse. Ma lo si deduce, in modo chiaro sul piano testuale, dalla lettura della normativa intertemporale dettata dall'art. 2, che, disciplinando la materia della decadenza, fa inequivocabilmente riferimento, sia nel primo che nel secondo comma, a detenzioni degradanti ed inumane già conclusesi (e quindi anteriori) al momento dell'entrata in vigore della legge».
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