Volgarità in ordine sparso. Attacchi personali. Insulti di ogni tipo, alcuni irriferibili. E poi minacce. Tante minacce gravi. È quello che emerge da alcuni gruppi Facebook nati per tutelare i diritti dei detenuti dove in questi giorni frotte di internauti, alcuni nascosti dietro profili fake, si dilettano a minacciare i magistrati antimafia Catello Maresca e Nicola Gratteri.
Parliamo di due magistrati da anni impegnati in prima linea nella lotta alle mafie e da anni scortati. Attacchi gravissimi e minacce da verificare sferrati a due uomini delle istituzioni, colpevoli di aver espresso con lucidità e cognizione di causa il proprio pensiero. L’argomento in questione è l’atteggiamento assunto dallo Stato in risposta alle rivolte delle carceri di inizio marzo. I pm avevano osteggiato, osteggiano, esprimono fortissime perplessità circa le misure svuotacarceri previste dal decreto Cura Italia. I due magistrati temono (e lo dicono) che possano rappresentare una resa dello Stato nei confronti delle mafie. Con Maresca abbiamo queste minacce e analizzato ancora, in modo oggettivo, gli effetti prodotti da quel provvedimento.
Dottor Maresca, partiamo da insulti e minacce ricevuti da lei e dal procuratore Gratteri.
Sono rammaricato e dispiaciuto, perché non è stato compreso il mio messaggio. Provo allora a chiarirlo ulteriormente. Io non ho niente contro i detenuti a priori, né ho mai sostenuto che i loro diritti non debbano essere garantiti. Credo che il 9 marzo ci fossero le condizioni per intervenire in maniera organizzativa e strutturale nelle carceri, per garantire sia la salute degli ospiti, sia il principio di certezza della pena, l’esigenza di giustizia. Sulle minacce, le offese e gli insulti sul web sarà la magistratura a decidere se ci sono gli estremi per intervenire a tutela mia e di Gratteri. E però devo confessarle che è triste pensare che in questo Paese si sia perso anche il diritto di esprimere liberamente delle valutazioni di natura tecnica.
Quali effetti ha prodotto lo svuota carceri?
Su questo punto bisogna fare chiarezza, distinguendo fra effetti diretti ed indiretti del provvedimento. Gli effetti diretti sono state le circa cinquemila scarcerazioni di detenuti con un residuo pena basso, un dato che ha inciso poco o nulla sul problema del sovraffollamento. C’è poi l’effetto indiretto: sono usciti anche mafiosi e detenuti condannati per reati gravi, quelli che non dovevano uscire.
Com’è potuto accadere?
Il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr) ha stilato con una circolare un decalogo di malattie astrattamente incompatibili con il regime carcerario: malattie cardiovascolari, respiratorie, neoplasie e altre, abbracciando quasi tutto il ventaglio delle patologie esistenti. Ha poi girato questo decalogo ai direttori dei penitenziari, chiarendo che, se sono presenti nelle loro strutture detenuti con queste patologie – pure se in regime di 41 bis e Alta Sicurezza – devono informare l’autorità giudiziaria e chiedere la scarcerazione. Una procedura alquanto anomala; di solito la scarcerazione viene richiesta o dal diretto interessato o dal pubblico ministero, non certo dal direttore del carcere, né tantomeno dal Dap, che è un organo amministrativo. E’ stata questa disposizione a mandare ai domiciliari alcuni mafiosi, non lo svuota carceri. Mi sembra un fallimento totale, è successo quello che non doveva succedere e non s’è risolto il problema del sovraffollamento.
Quali erano secondo lei i reali obiettivi perseguiti dalle organizzazioni criminali con le rivolte?
Secondo me l’obiettivo principale era quello di ottenere maggiori possibilità di comunicare con l’esterno e purtroppo è stato raggiunto. Sono stati liberalizzati i colloqui con Skype, che hanno una straordinaria efficacia criminale, perché non sono intercettabili. Queste scelte le pagheremo di qui a poco: non si possono concedere vantaggi ai delinquenti. Questo messaggio lo urlerò fino alla morte.
Crede che lo Stato, impegnato nell’emergenza sanitaria, rischi di abbassare ancora di più il livello di allerta rispetto al fenomeno criminale?
Ad essere sincero, non so se è possibile abbassarlo ancora, è già ai minimi termini. So per certo che ci aspetta una lunga stagione di guerra alle mafie, perché saranno molto più forti rispetto a come le abbiamo lasciate prima del Coronavirus.
Sin qui l’amarezza del magistrato che ha argomentato in molte sedi, istituzionali e pubbliche, le sue riserve rispetto a quanto accadeva e accade nelle carceri italiane. Non aver raccolto queste sensibilità da parte del Governo, se non è un segno di cedimento alle organizzazioni mafiose in senso stretto, certamente non è un modo per assicurare in questo Paese la certezza della pena in uno con il rispetto dei detenuti che oltre al giusto processo hanno diritto a condizioni di detenzione umane.
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