In Italia ci sono quasi 37mila uomini e donne che ogni giorno lavorano (anche) alla nostra sicurezza. Ma pochi lo sanno. Perché la gran parte del loro lavoro si svolge dietro pesanti cancellate di ferro e al di là di enormi mura, talvolta vere e proprie fortezze, che non lasciano molto spazio all’immaginazione né alla fantasia. E poi perché quello che avviene dietro quelle sbarre e quelle mura interessa a pochi, salvo quando capita qualcosa di grave.
Eppure, per ventiquattro ore al giorno e per trecentosessantacinque giorni all’anno questi uomini e donne in divisa blu e basco azzurro contribuiscono direttamente o indirettamente a farci sentire più sicuri, noi e la nostra società. Come? Svolgendo tutta una serie di compiti istituzionali che rendono la loro mission qualcosa di unico rispetto alle altre Forze dell’ordine: perché assicurano l'esecuzione delle pene attraverso la custodia in carcere dei detenuti, garantendo la loro salvaguardia dentro e fuori dall’istituto; ma al tempo stesso partecipano all’osservazione e al trattamento rieducativo dei reclusi, contribuendo con operatori specializzati e volontari a rendere più concreto quel recupero sociale che la nostra Costituzione ci impone e che altrimenti rimarrebbe un mero principio.
Rivestono le attribuzioni di Sostituti Ufficiali di Pubblica Sicurezza, Agenti di Pubblica Sicurezza, Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria e Polizia Stradale. E lo fanno con lo sguardo fiero e orgoglioso, nonostante le tante difficoltà in cui da anni si trovano costretti ad operare. Qualche giornalista disattento continua a chiamarli “secondini” o “guardie carcerarie”, forse con una punta di maliziosa irriverenza. Qualcun altro, in un impeto di solidarietà, scrive che in galera ci stanno anche loro, oltre ai detenuti. Pochi giorni fa il Ministro Bonafede li ha ringraziati per l’ennesima volta, chiedendo al tempo stesso pubblicamente “scusa per le condizioni in cui lo Stato vi ha costretti a lavorare”.
Sono gli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria. Avrebbero bisogno di forze fresche e di risorse: il loro organico è stato tagliato improvvisamente di oltre 4mila unità dal precedente governo ed è particolarmente carente in alcune figure professionali. Il Governo Conte sta correndo ai ripari e qualche giorno fa il Guardasigilli ha annunciato “l'assunzione di circa 1.300 agenti nel 2019”.
Nonostante ciò si trovano a fronteggiare un sovraffollamento che è tornato a risalire: il numero dei detenuti presenti ha superato quota 60mila, ben tremila in più rispetto a un anno fa. E sono in aumento anche gli eventi critici da fronteggiare, di certo quelli più gravi che costringono questi uomini e donne in divisa blu a turni massacranti e interventi sempre più in emergenza. Perché se è vero che il totale dei suicidi di detenuti è ad oggi salito a 61, sono stati quasi 1.200 i tentati suicidi nel 2018 e molti di questi sono rimasti solo tentati proprio grazie alla pronta capacità di intervento del personale in servizio; così come negli oltre 10mila casi di autolesionismo e 11mila casi di invio urgente di reclusi in ospedale numerosi sono coloro che i medici hanno potuto salvare per la tempestività del primo soccorso prestato loro dagli agenti. Per non parlare delle quasi 700 aggressioni fisiche subite dai detenuti quest’anno; dei 300 incendi dolosi appiccati per protesta all’interno dei reparti detentivi; degli oltre 3mila casi di violenze, minacce e atti di resistenza a pubblico ufficiale; delle 3.600 aggressioni, ferimenti, colluttazioni e persino tentati omicidi fra detenuti; delle oltre 3mila perquisizioni ordinarie e straordinarie che hanno portato al sequestro di droga, telefonini, coltelli e armi rudimentali. Quattro sono stati gli evasi dagli istituti, tutti ripresi grazie all’opera del Nucleo Investigativo Centrale (NIC) della Polizia Penitenziaria e più di 40 i tentativi sventati fra interventi da parte degli agenti e attività di controllo preventiva. Due le rivolte sedate e senza dover ricorrere alla forza: la seconda qualche giorno fa a Trento, complicata, dura e con gravi pericoli per l’incolumità di personale e detenuti coinvolti.
Non una vita facile quella dei poliziotti penitenziari, che comunque continuano a lavorare con immutata professionalità. Nell’anno che si sta concludendo hanno portato a casa risultati importanti: sono numeri frutto del lavoro svolto da ognuno di loro, ciascuno per la propria parte; ma rappresentano la cifra di un impegno dalle diverse sfaccettature. Che pochi conoscono.
A loro auguro di cuore un 2019 migliore”.
Francesco Basentini
Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria