La direttrice di RaiCultura, Silvia Calandrelli, presenta la serie tv Maxi. Il grande processo alla mafia a viale Mazzini e legge emozionata il telegramma inviato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che "fa pervenire la sua gratitudine per un'opera storiografica di grande rilievo che permetterà soprattutto ai giovani di conoscere e approfondire l'impegno di quei tanti servitori della Repubblica che seppero tenere alta la bandiera della legalità e dello stato di diritto, infliggendo a Cosa Nostra un colpo senza precedenti".
È una docufiction fuori dal comune quella che andrà in onda dal 23 ottobre alle 21.10 su RaiStoria e in anteprima su RaiPlay dal 17 ottobre: Maxi - Il grande processo alla mafia, scritta da Cosimo Calamini, Alessandro Chiappetta, Marta La Licata e Davide Savelli, con la regia di Graziano Conversano, è tv civile. Non a caso in viale Mazzini ci sono il capo della procura nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho, il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, il magistrato Gioacchino Natoli, l'ex presidente del Senato Pietro Grasso, che fu giudice del maxi processo, Caterina Chinnici, figlia del procuratore Rocco Chinnici. Tra gli ospiti anche i giornalisti sotto scorta Federica Angeli e Lirio Abbate.
La serie in sette puntate nasce da documenti storici, dai verbali degli interrogatori. Migliaia di ore di materiale che le Teche Rai hanno restaurato, intrecciati a momenti di fiction interpretati da attori: la Rai documentò i 638 giorni del maxiprocesso che si aprì a Palermo nel 1986 e portò a 19 ergastoli e 2665 anni totali di carcere per i 346 imputati accusati di associazione mafiosa. Il racconto si sviluppa attraverso la voce narrante di Franco, giornalista Rai (interpretato da Giovanni Guardiano), che attraverso le immagini dell'epoca fa rivivere il lavoro dei cronisti e dei tecnici del servizio pubblico chiamati a documentare il processo. Accanto a lui il cameraman Gianni (Fabrizio Colica) e Teresa (Chiara Spoletini) montatrice assistente alla regia appena assunta. Tommaso Buscetta è interpretato da Antonio Pennarella, grande attore scomparso questa estate.
"Un 'factual drama' come viene definito" spiega Silvia Calandrelli "per tenere viva la memoria e destinato ai giovani, per tenere alta la bandiera della legalità". Il regista racconta l'emozione degli attori entrati nell'aula bunker "rimasta uguale, grande come un campo di calcio. Tanti si sono presentati ai provini studiando gli atti del processo, recitando le frasi pronunciate dagli imputati".
Il lavoro di Falcone e Borsellino fu immenso: affiancati dai procuratori Di Lello e Guarnotta, chiusi nel bunkerino, prepararono quello che è passato alla storia come un monumento giuridico. Si parte da quel 10 febbraio 1986, quando 400 mafiosi vengono chiamati a rispondere di decine di reati, in una gigantesca aula giudiziaria, costruita per l'occasione. Il procuratore Cafiero De Raho ripercorre il lavoro dei giudici di Palermo, che misero in piedi un processo passato alla storia, ricorda l'impegno del presidente Alfonso Giordano "che veniva dal civile e seguì il processo con grande serenità, affiancato a Grasso". E lancia l'allarme: "È inaccettabile che a oggi uno come Matteo Messina Denaro sia ancora latitante. Non deve essere più consentito che il ricercato numero uno in Italia continui a trovare accoglienza in quei territori. Questo è un capitolo che deve essere definitivamente chiuso con il suo arresto". Il capo della Dna ha sottolineato come Messina Denaro "sia un uomo che rappresenta ancora oggi la proiezione di una strategia stragista e di programmi criminosi".
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