“E’ un demonio, un criminale progettato al computer. Chiesi che venisse scortato da due agenti e ammanettato con le mani dietro la schiena”.
Con queste parole il procuratore antimafia d’origine leccese Giovanni Musarò, 42 anni, ha descritto ieri il boss della ‘ndrangheta Domenico Gallico davanti al giudice Silvia Mattei, facendo entrare nel vivo il processo per violata consegna e falso ideologico a tre agenti della Polizia Penitenziaria del carcere di Mammagialla. “Non uno così, ma uno laureato in giurisprudenza e che sa come creare problemi”, ha sottolineato il pm.
A Viterbo, il magistrato è giunto con la scorta per essere sentito nelle vesti di parte offesa in merito all’aggressione subita nella sala colloqui della sezione di massima sicurezza dove, il 7 novembre 2012, avrebbe dovuto incontrare il capo dell’omonima cosca della fascia tirrenica di Reggio Calabria, classe 1958, in carcere, dove sta scontando 7 ergastoli, dal 1990.
“Ciononostante è ritenuto a tutt’oggi capo indiscusso e personaggio di vertice della ‘ndrangheta”, ha spiegato il pm che tra il 2006 e il 2008, intercettando la posta e i colloqui in carcere coi familiari, ha disposto l’arresto di “tutti i familiari, compresa la madre 80enne, dai fratelli alle sorelle, dai cognati alle cognate. Poi aprimmo anche un’indagine parallela sugli avvocati della cosca Gallico”.
Gli arresti sono sfociati nel 2011 in un maxiprocesso con 50 imputati della storica cosca dei Gallico, davanti alla corte d’assise di Palmi, e nel 2012 in un avviso di fine indagine a carico del boss recluso in regime di 41 bis a Mammagialla che, come suo diritto, chiese di essere interrogato.
“Mi sembrò strano, ma non potevo dire di no, pena l’annullamento della richiesta di rinvio a giudizio. Ero preoccupato, per via di un precedente. Nel 1992, con la scusa di rilasciare spontanee dichiarazioni a un processo in cui era imputato, Domenico si è alzato e ha dato uno schiaffo al presidente della corte d’assise, che venne immediatamente ricusato dai suoi avvocati. Lo dissi al procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Michele Prestipino, il quale mi consigliò di chiedere una rogatoria. Ma siccome anche il fratello, detenuto nel carcere di Opera a Milano, voleva essere interrogato, allora decisi per un unico viaggio”, ha detto Musarò spiegando le ragioni per cui è venuto a Viterbo.
“Mi premunii, chiedendo all’uffico matricole di Mammagialla la presenza di due agenti dentro la stanza e che Gallico venisse portato nella sala colloqui ammanettato, con le mani dietro la schiena.