In Umbria le mafie non sparano, ma fanno affari. Nel corso di una conferenza stampa per illustrare una delle operazioni contro la criminalità organizzata, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Perugia, Luigi De Ficchy, aveva ben sintetizzato la situazione. “In Umbria – aveva detto – è in corso una lenta penetrazione della criminalità organizzata”, in quanto “seppure qui la mafia non uccida e non controlli il territorio, si impegna comunque a controllare le attività economiche infiltrandosi anche in appalti e concessioni”.
Bar, ristoranti, locali notturni, alberghi, esercizi commerciali, ma anche aziende sono finite sotto il controllo di famiglie e clan in rapporto con mafia, camorra e ’ndrangheta. Organizzazioni criminali con tanti contanti da investire, e che fanno offerte allettanti per imprenditori in difficoltà.
Secondo gli ultimi dati della Anbsc – Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, nella piccola Umbria questi beni attualmente sono 122. Si tratta di terreni, abitazioni, capannoni, magazzini, negozi a Perugia, Spoleto, Torgiano, Assisi, Bastia Umbra, Città di Castello, Todi e Umbertide. Ma ci sono anche una villa e un’azienda di costruzioni a Trevi, un ristorante a Terni, attività immobiliari e informatiche a Perugia.
“La sua posizione centrale nel territorio nazionale, l’assenza di una forte criminalità locale, la presenza di importanti vie di comunicazione e le numerose aziende sono i fattori che hanno favorito la presenza, specie nella provincia di Perugia, di famiglie calabresi e campane” spiega la Dia (Direzione investigativa antimafia) nella relazione inoltrata al Parlamento relativa al primo semestre 2018.
Secondo la Dia, “tale fenomeno può essere ragionevolmente correlato alla presenza, a Spoleto e a Terni, degli istituti penitenziari che accolgono i detenuti sottoposti al carcere duro e alla sorveglianza ad alta sicurezza. Fisiologico, quindi, prima l’insediamento nella regione dei parenti dei detenuti in questione, e il successivo interesse delle organizzazioni criminali delle regioni d’origine rivolto all’economia locale”.
78 proprietà in attesa
Il sequestro dei beni delle mafie per essere poi riutilizzati per finalità sociali è sicuramente un importante strumento per contrastare la criminalità organizzata. L’esperienza dimostra però che troppi di questi beni restano inutilizzati per tanto tempo, a causa delle difficoltà burocratiche per giungere alla loro assegnazione.
Dei 122 beni sequestrati in Umbria, 78 sono ancora in attesa di “destinazione”, mentre sono 44 quelli ufficialmente “destinati”. Questo però spiega la Anbsc – “non significa necessariamente che questi beni siano stati anche riutilizzati. Molti beni infatti, anche dopo la destinazione e il trasferimento ai Comuni, rimangono ancora inutilizzati”.
È il caso dei 97 ettari dell’azienda agricola di Col di Pila, nel Comune di Pietralunga. Appartenevano alla Safi (Società agricola finanziaria immobiliare) con sede a Roma, e che faceva capo alla famiglia calabrese De Stefano.
Secondo le indagini della magistratura calabrese, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso sarebbe stata utilizzata come “covo freddo” dalla ’ndrangheta per il rifugio di affiliati considerati “a rischio” per le faide tra le cosche. Affiliati, spesso anche ricercati dalla polizia, che si nascondevano nei boschi delle colline umbre anche per periodi molto lunghi.
Nel 2007 l’azienda fu confiscata con un provvedimento del tribunale di Reggio Calabria, ma dopo ben 12 anni – come ha riferito il sindaco di Pietralunga Mirko Ceci l’8 marzo scorso davanti alla Commissione regionale d’inchiesta sulla criminalità organizzata – quei “97 ettari di terreno ormai sono solo bosco dopo decenni di incuria, con ruderi ormai inutilizzabili di quella che fu l’azienda agricola originaria”.
Per il riutilizzo sociale si era anche costituita una cooperativa, che però alla fine ha dovuto rinunciare per le tante difficoltà burocratiche. “Ci siamo tirati indietro – ha spiegato il suo presidente Giordano Milli ai consiglieri regionali perché ormai per l’allungarsi dei tempi l’entusiasmo iniziale aveva lasciato il posto a dubbi e timori”. Il Comune di Pietralunga ha pertanto deciso di prorogare il bando pubblico per l’assegnazione del bene.
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