“Sono nervosi, queste audizioni non le volevano fare...”. È dal cuore del Movimento 5 Stelle che arrivano segnali di disagio legati al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Raccontano di telefonate su telefonate di preoccupazione e pressioni sulla sfilza di audizioni che nella commissione Antimafia si stanno susseguendo per fare luce sulle eventuali zone d’ombra intorno alla rivolta nelle carceri e sul successivo ok ai domiciliari per centinaia di detenuti in regime di massima sicurezza.
Tra le molte verità di questa storia, è stato Nino Di Matteo a mettere le carte in tavola. “C’erano state delle rivolte che, dall’esterno, ho pensato che potessero essere organizzate a un livello più alto di quelli che salgono sui tetti. Poi sono conseguite le scarcerazioni”, ha detto in audizione. Il passaggio logico è abbastanza chiaro, ma non serve andare per deduzioni perché il magistrato di Palermo ha serenamente proseguito: “Mi preoccupava sostanzialmente il dato di una sostanziale analogia tra quanto avvenne nel 1993, quando ci furono stragi in contemporanea a Roma e Milano tanto da far ritenere al presidente del Consiglio che era in corso un colpo di Stato. Sappiamo che vennero fatte in funzione di un ricatto allo Stato per alleggerire il 41-bis e far piegare le ginocchia alle istituzioni”.
Le domande che alcuni fra i 5 Stelle hanno iniziato a porsi dopo le parole di Di Matteo sono le seguenti: c’è stata una trattativa da parte dello Stato con pezzi di criminalità organizzata per ottenere le scarcerazioni in epoca di Covid-19? Chi è stato l’interlocutore alla cui porta è stato bussato? Le reazioni dei boss sulla sua nomina hanno portato a quello stop? È la stessa dinamica intercorsa per le scarcerazioni?
Dallo scranno della presidenza dell’Antimafia, Nicola Morra va avanti imperterrito nel cercare di appurare quanto successo. Sul senatore filosofo si sono addensate critiche e nervosismi. Un suo collega la mette giù così: “Nicola è tanto bravo quanto ostinato, e adesso lo hanno totalmente isolato, perché rischia di venire giù tutto”. Un clima pesantissimo aleggia sul Palazzo e sui lavori della commissione Antimafia, mentre si stanno preparando altre due convocazioni di peso: quella di Francesco Basentini e quella del Guardasigilli, un ritorno a chiudere il cerchio.
Occorre fare un passo indietro e ricostruire i fatti che interessano Bonafede, e su cui si fonda una teoria tanto indimostrata quanto sulfurea. E infatti, vale la pena dirlo, carsicamente riscuote un certo seguito nel Movimento 5 Stelle, che pubblicamente invece ha lavorato per far scemare il clamore nel più breve tempo possibile. Ecco, questa teoria vuole che ci sia un collegamento tra un papello redatto dai rivoltosi del “carcere zero”, quello di Salerno, e la circolare che ha dato il via libera alle pene alternative anche per i reati di mafia. Un papello nel quale si ponevano alcune condizioni per lo stop alle sommosse, tra cui proprio quello della sospensione della pena e della detenzione domiciliare per motivi di salute.
Era il 7 marzo, l’Italia viveva con il fiato sospeso per il crollo della Borsa e l’imminente lockdown. Il collegamento si sarebbe concretizzato solamente due settimane dopo, il 21 marzo, con la famosa circolare che ha dato il via alle scarcerazioni. Bonafede ha sempre parlato di strumentalizzazioni: “Ricordo che le scarcerazioni sono state determinate da decisioni prese in piena autonomia e indipendenza dai magistrati competenti (nella maggior parte dei casi per motivi di salute), sui quali, ovviamente, non c’è stato alcun condizionamento da parte del ministero o del governo”, ha detto alla Camera il 12 maggio scorso.
Il tassello che ha fatto balzare sulla sedia coloro che, nei 5 Stelle e più in generale in maggioranza temono (o si augurano) che la vicenda abbia ulteriori sviluppi, è stata l’audizione di Giulio Romano, ex direttore generale della direzione detenuti e trattamento del Dap, dimessosi insieme a Basentini senza che, per sua ammissione, il passo indietro fosse mai stato sollecitato dal ministro. Romano anzitutto ammette che “si può ipotizzare che le rivolte nelle carceri siano state in qualche modo pilotate”, ma soprattutto dice che “il ministro espresse apprezzamento” per la circolare. Spiegando anche che la scarcerazione del boss Pasquale Zagaria sia stata “un grave errore, una svista”, senza che questo abbia prodotto alcuna conseguenza sul suo ufficio.
Apriti cielo. La fronda M5s interna a Bonafede ha iniziato a ribollire. Morra, esterrefatto per le dichiarazioni di Romano, ha richiesto un secondo round di audizione, andato in corso mercoledì, nella quale l’ex dirigente del Dap ha tenuto a sottolineare che dal ministro non ha “avuto nessun parere positivo prima dell’emanazione della circolare”, ma solo successivamente, in una videoconferenza del 24 marzo.
Giovedì l’audizione di Di Matteo, oggi un senatore pentastellato attacca: “Abbiamo voluto buttare la polvere sotto il tappeto, ma questo non è il Movimento. Le pressioni perché ci si fermi sono tante, ma fa bene Nicola (Morra, n.d.r.) ad andare avanti”. Cibo per alimentare la teoria complottista ce n’è a sufficienza, con tanto di strascico sgangherato che coinvolge lo stesso Di Matteo, Napolitano, Palamara e Ingroia. Per provare che sotto il tappeto sia nascosta polvere tossica serviranno prove ben più corpose, ma tanto basta ad alimentare l’assedio a Bonafede che, da par suo, si tiene prudentemente alla larga dall’intervenire nella faccenda.
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