Fine estate del 2010, San Cipriano d’Aversa. I telefoni di parenti e amici di Antonio Iovine registrano un’impennata di chiamate dal sud della Francia. I parenti del boss latitante sono a Lourdes in pellegrinaggio, come ogni anno. Ci sono i figli, forse lui stesso. Nella sala intercettazioni della Procura antimafia, al Centro direzionale di Napoli, orecchie incuriosite cercano di capire se quelle voci usano un linguaggio in codice. Non comprendono il perché di tanta agitazione per una candela, una candela spenta. Immaginano che sia accaduto qualcosa di molto grave, forse una morte improvvisa. Ma non trovano conferme perché, in realtà, di una candela vera parlavano quelle voci. Anzi, di un cero votivo, uno di quelli grandi con durata annuale, che si era spento molto prima della scadenza. Oltralpe quel segno viene interpretato come un cattivo presagio, in casa Iovine si preoccupano per la salute del più piccolo dei tre figli del capo clan. E invece, se di un presagio si trattava, riguardava proprio lui, il “Ninno bello” che di lì a due mesi viene arrestato. Una fuga durata quindici anni durante i quali, tra viaggi, vacanze a Parigi e in Corsica, trasferte di lavoro in Romania, Austria e Polonia, aveva percorso tutti i gradi della carriera senza mai riparare in bunker sotterranei ma trovando sempre un comodo riparo in case di amici compiacenti.
Lourdes e il boss dei Casalesi
Un anno dopo, il 26 agosto del 2011, ricompare ancora Lourdes nella vita di Antonio Iovine, oggi collaboratore di giustizia, a quel tempo detenuto al carcere duro a Badu ’e Carros. Gli scrive la figlia Filomena, Milly per tutti, che racconta al padre la sua giornata di pellegrina: sveglia alle otto, visita alla grotta saltata a causa della pioggia. Con lei e con il fratello Carmine c’è un sacerdote di Casapesenna, don Michele Barone, il più attivo organizzatore di pellegrinaggi mariani della diocesi di Aversa. «Mi piace molto don Michele, a livello spirituale, ma come persona non sono ancora riuscita ad inquadrarlo, è giovanile e poi conosce tante persone anche importanti, ci racconta tante cose, e spesso mi da l’impressione che inventi, ma tu lo sai come sono… Ah ah ah, che malvivente vero?».
Don Michele Barone e Iovine
Qualche giorno dopo, il 5 settembre, è lo stesso don Michele Barone a scrivere a Iovine: «Caro Antonio ai piedi della Grotta di Lourdes ho elevato alla Madonna una preghiera speciale per te e tutta la tua famiglia. Ho avuto la gioia di parlare con tuo figlio Carmine e tua figlia Milly che hanno pregato tanto per te, non scoraggiarti».
Quelle missive diventano lo spunto perché i carabinieri del Ros e gli investigatori del Nic (il nucleo investigativo centrale della Polizia Penitenziaria) avviino un’indagine a tutto campo sul consigliere spirituale del capoclan casalese, per lungo tempo cappellano nelle carceri campane, a quel tempo viceparroco a Caivano ma anche uomo di televisione, confessore di attrici ed ex pornostar che hanno incontrato la fede sulla via di Medjugorje, di cantanti famose, di cardinali caduti in disgrazia. Da qualche giorno don Michele Barone è stato ridotto allo stato laicale da Papa Francesco. È in carcere da un anno e tre mesi non per vicende di camorra ma per una storiaccia di esorcismi, violenze e lesioni su ragazzine, di sesso spinto e di pellegrinaggi sospetti. Processo che è ancora in corso mentre più nulla si è saputo dell’inchiesta parallela avviata sui suoi rapporti con il santuario bosniaco, con i grandi alberghi dove si comportava da padrone e, soprattutto, sulla denuncia fatta a luglio dello scorso anno dall’arcivescovo polacco Henryk Hoser, inviato del Papa nella cittadina che da quasi 38 anni è meta di un intenso pellegrinaggio: «Medjugorje nel mirino anche delle mafie napoletane in cerca di profitti. Da un lato, incontriamo migliaia di giovani che usano il sacramento della penitenza e della riconciliazione. D’altra parte, bisogna essere consapevoli che a causa del massiccio afflusso di pellegrini, questo posto è penetrato dalle mafie, tra cui quelle del Napoletano, che conta sui profitti».
Lo screening degli investigatori
Nello screening degli investigatori finiscono tracce di vecchie annotazioni sui rapporti tra don Michele e tutti i capi del cartello casalese. Con Vincenzo Zagaria, solo omonimo di Michele Zagaria ma come lui di Casapesenna, nel 2007 e nel 2008. Con Francesco Schiavone “Sandokan” che in una delle lettere inviate alla moglie Giuseppina Nappa, che ha seguito il figlio Nicola (ergastolano e collaboratore di giustizia) in protezione ma con lo status di semplice dichiarante, scriveva: «…amore mio non perdere mai la fede in Dio, prega, parla con don Carlo (uno dei parroci di Casal di Principe, ndr.), sfogati con don Michele Barone, prega la bella madonnina di Fatima, non abbandonarti sul divano».
A Natale del 2007, il sacerdote aveva inviato un biglietto di auguri a Schiavone, a Vincenzo Zagaria, a Salvatore Nobis e Michele Fontana (fidatissimi luogotenenti di di Michele Zagaria). Dopo le stragi del 2008, ha avuto contatti epistolari e, pare, anche colloqui non autorizzati con uomini del gruppo Bidognetti, come Nicola Alfiero. Pasquale Zagaria, fratello di Michele e mente economica e finanziaria di quella fazione, invece con il sacerdote non voleva avere a che fare. A gennaio del 2011, per esempio, quando il fratello era ancora latitante, si era lamentato della ricezione di un pacco speditogli da don Michele: un calendario. «Come si permette – aveva detto alla moglie durante un colloquio – di fare un pacco qua?». A Vincenzo Zagaria scriveva anche un altro sacerdote di Casapesenna, don Ciro Isaia. Tra la corrispondenza, anche una poesia, mai consegnata al detenuto.
Qualche conversazione sibillina con Alessandro Zagaria, figlio del proprietario del ristorante “Il Tempio” a Casapesenna, di recente assolto dall’accusa di associazione camorristica, aveva indotto gli investigatori a inserirlo nell’elenco dei fiancheggiatori di Michele Zagaria. E gli accertamenti svolti nel tempo (in questo caso nel 2010) avevano già evidenziato le sue frequentazioni nel mondo dei vip: da Luciano Moggi, ex direttore sportivo della Juventus, a Natalia Mesa Bush, modella spagnola, miss Tenerife nel 2005, ragazza dell’anno del marchio “Roberta” e concorrente de “La Talpa” e “Bellissima 2009”.
Dallo showbiz alla camorra
Dallo showbiz alla camorra, fino alla caduta dello scorso anno. Intorno, sospetti e frequentazioni equivoche, le chiacchiere di paese sulla strettissima amicizia (anche di affari) con Antonio Iovine al quale si era legato dopo il litigio con la famiglia Zagaria e con il cugino suo omonimo, esattore del clan e oggi collaboratore di giustizia a causa di una ragazza di cui si era innamorato e per la quale voleva rinunciare ai voti. Affari, dunque, sui quali molto si dice ma senza che nulla sia mai stato trovato. È in quest’ottica, dunque, che potrebbe essere letta una lettera, spedita da Michele Zagaria alla sorella Gesualda, in cui il nome di don Michele non compare ma in cui si parla di Medjugorje. Anzi, di un pullman per Medjugorje. Risale alla primavera del 2014, probabilmente alla metà del mese di aprile. Nell’originale, sequestrato, c’è una parte interamente sottolineata pur essendo, apparentemente, banale.
«Mentre ti sto scrivendo sto vedendo su Rai Uno la Vita in Diretta (probabilmente la puntata del 16 aprile 2014, dedicata ai miracoli di Lourdes e, appunto, Medjugorje, ndr.) e stanno parlando della Madonna di Medjugorje e mi è venuto un pensiero di peccatore di andare a chiedere perdono dei peccati che abbiano commesso, anzi che ho commesso. Te lo sto scrivendo perché sicuramente a colloquio non te lo saprei dire perciò organizza un pullman e ci dovete andare tutta la famiglia anche mamma e papà se ce la fanno se non andate voi e non per chiedere se ci fa qualche miracolo ma solo se ci può perdonare perché solo lei sa se meritiamo di essere perdonati».
Voleva pentirsi? Si riferiva a investimenti fatti in Bosnia e nel turismo religioso? A una cassa segreta con la quale finanziare l’intera famiglia? Fino a oggi il significato della lettera è rimasto un mistero.
napoli.fanpage.it