Le nostre carceri cambieranno cosė
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STORIA Le nostre carceri cambieranno cosė 31/07/1975 

"Le preoccupazioni sulle conseguenze della riforma, anche per l'allarmante aumento della criminalità, non devono impedire il rispetto dei principi costituzionali sulla dignità della persona umana. Occorre che, tutti si convincano della necessità di evitare confusioni tra lo spirito della riforma, che tende ad un trattamento penitenziario umano e rieducativo, e la tolleranza per il disordine”.

Con queste parole il ministro di Grazia e Giustizia, Reale, concluse quindici giorni fa il suo discorso ai senatori che stavano, per votare definitivamente la riforma carceraria. La massa dei “si” risultò schiacciante: tutti i gruppi si dichiararono favorevoli, eccetto il liberale ed il missino che si astennero, La legge di riforma è ora in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed entro sei mesi il ministro di Grazia e Giustizia dovrà emanare il regolamento di attuazione.

Ma quanto travaglio per arrivare a questo risultato. La riforma dell'ordinamento penitenziario è certamente quella che per più tempo ha impegnato il Parlamento. E tutto ciò mentre tra i reclusi aumentavano ribellioni e proteste per le condizioni in cui vivono e mentre le carceri, anziché tendere alla rieducazione del reo per favorirne il successivo reinserimento nella società, come prescrive la Costituzione, sono diventate sempre più vere e proprie scuole di delinquenza.

La storia della riforma cominciò esattamente' ventotto anni fa, il 20 aprile 1947, allorché fu nominata una commissione ministeriale che lavorò durante e dopo la revisione costituzionale. Il suo progetto non varcò neppure il ristretto ambito ministeriale. Successivamente il Parlamento istituì una commissione di indagine sulle condizioni dei detenuti negli stabilimenti carcerari affidando ed essa anche il compito di formulare proposte per nuove norme. L'indagine fu ultimata nel dicembre 1950 ma senza alcun risultato pratico. Si moltiplicarono però le iniziative di studio ed il tema fu al centro di una infinità di congressi.

Sette anni dopo, nell'aprile del 1957, fu insediata una nuova commissione ministeriale la quale giunse alla scadenza del mandato senza essere riuscita a formulare alcun testo. Più solerte si dimostrava un comitato di studio formato nell'ambito della direzione generale degli istituti di prevenzione e di pena il quale preparò uno schema di disegno di legge che il governo approvò e presentò al Parlamento.

Era l'11 giugno 1960 e la sorte anche questa volta non fu benigna. Il provvedimento decadde senza essere discusso per la fine della legislatura e passarono altri quattro anni prima che una ennesima commissione ministeriale riesaminasse e aggiornasse il testo. Tra dibattiti, indagini conoscitive, parziali approvazioni, nuove legislature che costringevano a riprendere daccapo tutto il cammino, modifiche e rimbalzi da un ramo all'altro, del Parlamento si è così giunti ai giorni nostri.

25 miliardi

Alla riforma non spetta certo il ruolo di toccasana: vuole solo rendere più umana la pena, adeguandola ai principi costituzionali e a quelli delle regole minime per il trattamento dei detenuti dell'Onu. Per attuarla sono stati, stanziati per quest'anno 25 miliardi, ma perché possa svolgere interamente in suo compito occorre al più presto risolvere altri problemi non secondari: quello degli organici e del trattamento economico degli agenti di custodia (è recente la protesta degli agenti del carcere di Alessandria costretti a lavorare sessanta ore la settimana per uno stipendio di 200 mila lire) e quello dell'edilizia carceraria. Su entrambi sono già all'esame del Parlamento specifici provvedimenti. Bisogna poi riformare anche una mentalità, la stessa che appena pochi giorni fa ha lasciato morire di cancro un detenuto in una cella del carcere di Rebibbia anziché all'ospedale.

Che cosa dicono, dunque, le norme sulle quali d'ora in poi dovrà basarsi la vita all'interno degli istituti di pena? La prima afferma esplicitamente che il trattamento penitenziario “deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. Non vi saranno discriminazioni per nazionalità, razza, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose. I detenuti saranno chiamati con il loro nome e non vestiranno più l'abito a strisce. Le carceri dovranno essere realizzate in modo da accogliere un numero elevato di detenuti mentre le celle, che possibilmente ospiteranno un solo detenuto, dovranno essere di ampiezza sufficiente, illuminate dalla luce naturale e artificiale, aerate, riscaldate e dotate di servizi igienici riservati e decenti. Sarà assicurata a ciascuno la disponibilità di acqua potabile e l'uso adeguato di lavabi e docce. Potrà essere usato anche il rasoio elettrico.

I refettori

Il vitto dovrà essere “sano e sufficiente” ed i detenuti mangeranno, di regola, in refettori. Una loro rappresentanza, dà sorteggiare ogni mese, controllerà l'applicazione delle tabelle che stabiliscono la quantità e la qualità del vitto e la sua preparazione. Un medico visiterà ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta. Ciascun detenuto potrà chiedere di essere visitato, a proprie spese, da un sanitario di sua fiducia. Alle recluse, madri sarà consentito tenere con sé i figli fino all'età di tre anni e per i bambini saranno organizzati appositi asili nido. Saranno assicurate le attività religiose, culturali (ogni istituto avrà una biblioteca ed i detenuti saranno autorizzati a tenere con sé quotidiani, periodici e libri in libera vendita all'esterno), ricreative e sportive. Coloro che sono in attesa di giudizio saranno separati da quelli già condannati, i giovani al di sotto dei 25 anni dagli adulti. Ai fini del trattamento rieducativo, sarà favorito il lavoro ed i detenuti potranno chiedere di essere impiegati, in occupazioni conformi alle loro attitudini. Saranno retribuiti in misura non inferiore ai due terzi delle normali tariffe sindacali ed avranno diritto, anche agli assegni familiari, che saranno versati direttamente alle persone a carico. Dovranno però versare una quota della remunerazione per rimborsare lo Stato delle spese per il mantenimento e per risarcire il danno alle loro vittime. La durate del lavoro non potrà superare, i limiti stabiliti dalle leggi in materia e saranno inoltre garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale. Potranno altresì svolgere per proprio conto attività artigianali, intellettuali o artistiche.

Lettere

La formazione culturale e professionale sarà curata organizzando corsi della scuola d'obbligo e di addestramento professionale. Potranno essere istituite anche scuole di istruzione secondaria di secondo grado. All'azione rieducativa potranno partecipare anche privati o associazioni pubbliche. Il controllo della corrispondenza sarà attuato solo in determinati casi e su ordine del magistrato. Con determinate cautele saranno autorizzate anche telefonate ai familiari. La riforma fissa inoltre le sanzioni disciplinari, le ricompense, il diritto di sporgere reclamo, anche in busta chiusa, su su fino al presidente della giunta regionale e al capo dello Stato.

Vi è poi una serie di norme riguardanti l'organizzazione penitenziaria, le funzioni del magistrato di sorveglianza, i compiti dei centri di servizio sociale. Ma una delle parti più innovative riguarda le misure alternative alla detenzione. Qualora la pena non superi i due anni e sei mesi (tre anni per chi, ha meno di 21 anni o più di 70) il condannato può essere affidato al servizio sociale, fuori dell'istituto, per un uguale periodo. Tale possibilità sarà esclusa tuttavia per i recidivi ed i responsabili di rapine, estorsioni o sequestri di persona a scopo di rapina. Costoro non potranno usufruire neppure del regime di semilibertà che consentirà di trascorrere parte del giorno fuori dal carcere a chi abbia scontato almeno, metà della pena. Naturalmente, tranne che nei casi più lievi, la concessione della semilibertà è facoltativa e può essere sospesa o revocata. Qualora il condannato abbia dato prova di partecipare all'opera di rieducazione, potrà infine beneficiare di una riduzione di pena di venti giorni per ogni semestre di detenzione scontato.

Non è stato invece risolto dalla riforma il grave problema sessuale nelle carceri. Il Senato aveva in un primo tempo stabilito di concedere “permessi speciali” di cinque giorni ai detenuti di buona condotta perché potessero mantenere le loro "relazioni umane" ma la Camera ha eliminato la norma per gli inconvenienti che avrebbe potuto originare una simile concessione, di per sé non sottoponibile ad alcun controllo. Fu tuttavia auspicato da tutti, compreso il governo, che in un prossimo avvenire l'“amore”, più o meno tra virgolette, trovasse asilo in carcere attraverso un'adeguata soluzione legislativa.

La Stampa 31 luglio 1975


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