Alla memoria del brigadiere Gennaro Cantiello e dell'appuntato Sebastiano Gaeta, i due agenti di custodia uccisi con altri tre ostaggi, durante la tragica rivolta nella casa penale di Alessandria, il 9-10 maggio ‘74, è stata concessa rispettivamente la medaglia d'oro e la medaglia d'argento al valor militare.
A Cairo Montenotte, presso la scuola agenti di custodia, la medaglia d'oro è stata consegnata alla vedova del brigadiere Gennaro Cantiello. Era invece assente la signora Raffaella Bentivegna Gaeta, vedova dell'appuntato. La signora non si è presentata alla cerimonia, contestando la diversa valutazione che è stata fatta sul sacrificio dei due agenti. “Non sono andata a Cairo - spiega la signora Bentivegna, che ha trovato lavoro ad Alessandria, grazie all'interessamento del sindaco Borgoglio - e non andrò in alcun altro posto, perché rifiuto la medaglia d'argento concessa a mio marito. E' per una questione morale e di difesa della memoria di mio marito. Non capisco perché il suo sacrificio debba essere stato considerato meno meritorio di quello di altri, premiati con medaglia d'oro. La mia contestazione è una questione di principio. Mio marito non torna né con la medaglia d'argento, né con quella d'oro, penso però con questa mia decisione, di rendere giustizia alla sua memoria”.
Il brigadiere Cantiello e l'appuntato Gaeta catturati all'inizio della rivolta da Concu, Di Bona e Levrero furono entrambi uccisi dal Di Bona durante l'ultimo attacco delle forze dell'ordine. La signora Gaeta, oltre a rifiutare la medaglia, ha anche scritto a nome dei suoi due figli, al Presidente Leone. “Ho espresso - dice la signora - l'amarezza e la mortificazione di aver visto declassato il sacrificio di mio marito rispetto a quello degli altri caduti nell'adempimento del dovere”. Nella lettera, Raffaella Bentivegna fa presente che gli ostaggi morti furono cinque, tre civili e due militari: quattro ebbero la medaglia d'oro (al valor civile o a quello militare), uno solo, suo marito, quella d'argento. La motivazione dice: “Scatenatasi furia omicida dei delinquenti, nell'intento di evitare una strage completa, faceva scudo col proprio corpo agli altri ostaggi sacrificando così la propria vita”. “Un uomo - ha scritto la vedova a Leone - un marito, un padre poteva spingere oltre questi limiti il suo altruismo, il suo coraggio, il senso del proprio dovere? Perché il suo sacrificio è stato ritenuto meno meritorio di quello degli altri immolatisi con lui?”.
Per il momento il Presidente della Repubblica non ha ancora risposto.
La Stampa 29 maggio 1975