L'edifìcio ha origine borbonica, è del 1839 - Poco è cambiato da allora per quanto riguarda i servizi - Ospita 800 detenuti; per il vitto di una persona si spendono 492 lire al giorno - Il direttore ha realizzato migliorie lottando contro la burocrazia. Ficus enormi, le radici camminano sopra il terreno con uno spessore persino d'un metro: piante degne d'un grande parco. Ma non è un luogo pubblico, anzi è riservatissimo. Siamo all'interno dell'Ucciardone. E' la prima tappa di un giro per le carceri italiane. Il periodo è difficile, c'è fermento fra la popolazione carceraria che è all'incirca di 30 mila unità. Ogni tanto da qualche parte gruppi di detenuti salgono sui tetti o devastano le celle. Aspettano le riforme sempre promesse, che non arrivano mai. Andiamo a vedere come si vive nelle carceri italiane.
L'Ucciardone ha origine borbonica, la data di nascita è del 1839. Cos'è cambiato, da allora, qui dentro? S'è cercato di rammodernarlo dividendo i cameroni in celle, sostituendo i gabinetti ai bugliuoli, mettendo il televisore in ogni cella. Ma i gabinetti sono senza riparo, presenti nella loro più rozza espressione di cessi e all'esterno deturpano gli edifici con la trama dei grossi tubi; i muri succhiano dal terreno acquitrinoso l'umidità che restituiscono con scrostature dell'intonaco. Le fognature hanno rigurgiti, attraverso i tombini sbrecciati passano i topi. «Ne abbiamo avuti a migliaia — dice il direttore, dottor Giovanni Di Cesare, — siamo stati costretti a ricorrere all'ufficio d'igiene per liberarcene un po'. Non parliamo poi delle cimici...».
Non molto deve essere mutato entro questo perimetro di cupe mura lunghe un chilometro e che racchiudono un'area di 70 mila metri quadrati. L'Ucciardone è lo spauracchio per i detenuti: chi fomenta i compagni, chi guida le rivolte viene trasferito qui. Nove sezioni: grandi edifici indipendenti, disposti a raggiera intorno a un nucleo centrale, la «rotonda», che ora è caserma per gli agenti di custodia. Nove sezioni, ma non tutte efficienti.
Gli ospiti sono 800, potrebbero salire a 1500 se tutte le sezioni fossero agibili. Le lungaggini burocratiche annullano ogni iniziativa. L'anno scorso con cento milioni si sarebbe rimessa in sesto la seconda sezione, ora ne occorrono 140. «Noi in periferia e l'autorità centrale parliamo due lingue diverse — dice il direttore. E aggiunge: — Sono autorizzato a fare spese fino a 120 milc lire. Se mi concedessero ciò che prevede la legge sull'alta dirigenza, cioè la facoltà eli decisione fino a spese di 75 milioni, in pochi anni potrei ridare all'Ucciardone piena efficienza».
Per incominciare a capire come si vive in questa tetra cittadella chiediamo quanto si spende al giorno per il vitto di un detenuto. Attenzione: lire 492,014. Proprio 492 lire. Il mantenimento della popolazione carceraria è dato in appalto ad alcune ditte che si sono divise il territorio nazionale concorrendo alle aste. Le cifre, da zona a zona, variano di poco: possono arrivare alle 600 lire o essere anche più basse di queste 492. Ma c'è da stupirsi ancor di più. Con le 492 lire che riceve per ogni detenuto, l'impresa appaltatrice deve far fronte a una serie di altri obblighi: curare la manutenzione degli impianti elettrici, idrici, di allarme del carcere, pulire, disinfestare, derattizzare tutti i locali, fornire la cancelleria agli uffici, l'acqua calda ai bagni, far fare due barbe la settimana ai detenuti e i capelli una volta al mese. E' facile capire perché a un certo punto qualcosa non funziona e i topi possono diventare migliaia. Per le pulizie l'impresa si serve di detenuti che paga con una mercede fissata dallo Stato con un tariffario che varia secondo le categorie. Ne parleremo quando visiteremo un carcere nel quale si svolge il lavoro industriale o artigianale per conto di ditte private. Sono, comunque, pochi spiccioli.
Della vendita dei generi supplementari è pure incaricata la ditta appaltatrice. I prezzi sono l'issati d'accordo con l'amministrazione: un pollo al forno (500 gr.) costa 700 lire, una cotoletta 320, una bistecca 460. II giro d'affari è grosso: ogni mese l'appaltatore riscuote sei-sette milioni di lire. Entrano in carcere anche cibi portati dai familiari, ma con molte restrizioni a causa di due clamorosi precedenti: nel '54, con caffè e vino avvelenati, «omaggio» di privati esterni, furono assassinati Pisciotta, il luogotenente di Giuliano, e Russo, della stessa banda.
Entriamo nelle sezioni, fra i carcerati. Nella sesta, quattro piani, le celle sono ricavate da grandi camerate: una decina di posti letto con brande a castello, venti metri quadrati in tutto, finestra a «bocca di lupo» che lascia vedere solo un pezzo di cielo. Oltre la porta c'è un cancello. Le celle sono dotate di lavandino e di gabinetto che talvolta è scoperto o riparato solo da due muretti. «La mia speranza - dice il direttore - è poterli chiudere tutti e munirli di aeratori». II dottor Di Cesare dirige l'Ucciardone dal '71, ha realizzato parecchie migliorie lottando con la burocrazia. Ha fatto istallare i televisori in ogni cella, escluse quelle degli inquisiti. 143 apparecchi tv che funzionano dalle 13 alle 14 e dalle 17 a fine trasmissione e servono, secondo il direttore, a distrarre e a quietare gli animi.
Altra sezione, l'ottava. Qui le celle dei piani superiori hanno accesso dai ballatoi che corrono lungo i due lati di maggiore sviluppo; il vuoto centrale dell'edificio, dal pianterreno al tetto, è tagliato da una rete antisuicidio. Nelle sezioni di questo tipo i borbonici avevano creato tante celle singole, strette e lunghe. Ora di tre se n'è fatta una: quella centrale serve da ingresso e immette nelle due laterali dove sono le brande. Ma dove prima stavano tre detenuti isolati ora ne stanno cinque o sei.
Andiamo alla «passeggiata», nei cortili che sono ricavati tra un edificio e l'altro, separati da muri alti quattro metri, pavimentati di cemento, con una tettoictta e una panca per le giornate di pioggia. Di qui si vedono le cime verdi degli alti ficus: è l'unico contatto con la natura. «Chiediamo di poter stare più tempo all'aria — mi dicono. — Quattro ore al giorno sono poche». Ribatte il direttore: «Non posso concedere di più: ho 240 agenti di custodia, me ne occorrerebbero 300. Al cambio di turno delle 16 ne smontano più di cento e ne montano solo 45, non potremmo continuare a tenere i carcerati fuori dalle celle con così scarsa sorveglianza».
I giovani adulti (dai 18 ai 25 anni) danno calci a un pallone improvvisato legando insieme degli stracci. «Perché non possiamo avere un pallone autentico?». Lamentano le lunghe attese per il processo che a volte si risolve con una assoluzione, ma intanto la detenzione c'è già sta la «e se non sapevamo delinquere, l'abbiamo imparato, perché qui non si fa altro che parlare di colpi da fare poi. quando si avrà la libertà». Riabilitazione, rieducazione?
Ridono. No, non si fa nulla per tentare di riportarli sulla giusta via. Ci sono corsi pluriclasse, dalla prima alla quinta elementare, ma esistono più sulla carta che nella realtà; sono comunque frequentati da pochi. Le domande si rincorrono: «Perché altrove di giorno si tengono le celle aperte e qui no?». «Perché si continuano a mantenere le bocche di lupo che sono vietate?». «Perché i giornali entrano censurati?».
La Stampa 13 aprile 1974