Passato l'incubo della sanguinosa sommossa nel penitenziario di Augusta, è l'ora delle indagini. Due ufficiali dei carabinieri del nucleo speciale antiterroristico della brigata di Torino si trovano ad Augusta per ordine del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa per accertare se i detenuti Roberto Maurini, Giuseppe Sansone, Gianfranco Mayer e Michele Lacriola sono in contatto con altri gruppi extraparlamentari. Le indagini tendono anche a chiarire se i quattro reclusi hanno obbedito, nel mettere in atto la rivolta, a sollecitazioni esterne, a un piano cioè organizzato e predisposto fuori dalla casa di pena. Questa ipotesi, che si è rivelata valida in analoghi episodi verificatisi in altre carceri, appare tuttavia remota, anche se al momento non si può scartare del tutto.
Nel carcere-fortezza dove gli otto agenti di custodia presi in ostaggio hanno vissuto le ore più drammatiche e spaventose della loro vita, è tornata la calma. I quattro protagonisti sono stati trasferiti, così come avevano chiesto. Sansone e Maurini sono già nella casa penale di Ragusa, Lacreola a Bari, Mayer è in viaggio per Fossano, dove si trovano un suo fratello e un suo cugino, e dove lui stesso è già stato recluso per un periodo di 11 mesi, un paio di anni fa.
Quando, qualche ora dopo la strana conferenza stampa di ieri sera, i quattro protagonisti della rivolta sono usciti dal carcere sotto buona scorta per raggiungere le nuove destinazioni, una grande folla li ha accolti con fischi e invettive. La popolazione di Augusta è rimasta molto scossa dalla drammatica vicenda che si è snodata in venti terribili ore dentro la fortezza. Altre volte, nel tetro carcere, c'erano state manifestazioni di protesta, per chiedere miglioramenti nelle condizioni di vita o per sollecitare la riforma carceraria, ma agli agenti di custodia mai era stato torto un capello.
Stavolta la sommossa ha avuto un corso ben differente. Il ferimento dell'appuntato Giuseppe Mericcio, colpito freddamente con tre pugnalate quando non si poteva neanche difendere, ha duramente colpito la pubblica opinione. La dottoressa Cabrini, arrivata in aereo da Torino per svolgere una determinante opera di mediazione, prima di ripartire è andata a fare visita, in ospedale, all'agente ferito le cui condizioni sono ancora gravi, e gli ha manifestato la solidarietà sua personale e quella dei feritori. “Non volevano spargimento di sangue. Vi sono stati costretti dalle circostanze”. Ma non sono stati loro quattro, commenta la gente perplessa, a creare queste circostanze?
La Stampa 4 giugno 1975