Si è giunti alla paralisi della Giustizia, dicono i magistrati: non è possibile rinviare ancora la riforma dei codici - Quello penale, spiegano, risente dell'autoritarismo dello Stato fascista, quello civile è legato a strutture economiche e politiche superate - La protesta si estenderà alla inaugurazione dell'anno giudiziario a Torino, Bologna, Milano, Cagliari, Bari
Giudici ed avvocati hanno deciso di dare forma concreta alle loro proteste perché i problemi che travagliano la giustizia non sono stati ancora risolti. Il Consiglio dell'Ordine forense di Roma e i dirigenti dell'Associazione nazionale magistrati, alla quale sono iscritti i quattro quinti dei giudici italiani, hanno confermato la loro decisione di non partecipare giovedì alla cerimonia, normalmente fastosa e solenne anche per l'intervento del Capo dello Stato, con cui sarà inaugurato il nuovo anno giudiziario della Cassazione nell'aula magna del Palazzo di Giustizia.
Nel momento in cui avrà inizio la cerimonia, in piazza Cavour, di fronte al Palazzo di Giustizia, sarà organizzata una manifestazione, alla quale, nei propositi dei promotori, dovrebbero partecipare tutti « gli utenti della giustizia », con gli interventi di un magistrato, di un avvocato e di un cittadino. Il questore sinora non ha autorizzato la riunione ma gli organizzatori oggi hanno annunciato ufficialmente che « comunque, la manifestazione indetta per giovedì si terrà ».
Domani il problema sarà discusso in un'assemblea di avvocati e di magistrati: ma tanto il Consiglio dell'Ordine forense quanto i giudici hanno già stabilito di considerarsi assolutamente estranei alla manifestazione annunciata in piazza Cavour.
Mossa dagli stessi intenti, la protesta è preannunciata anche a Torino, a Bologna, a Milano, a Cagliari e a Bari. « Riteniamo che non partecipare alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario — ha spiegato il consigliere di Corte d'Appello dott. Mario Barone, presidente della Associazione nazionale magistrati — sta un valido modo di protestare per il disinteresse mostrato per anni dal potere politico nei confronti dei problemi che affannano la giustizia. Sono stati compiuti degli interventi per migliorare la situazione, è vero. Ma si è trattato di interventi parziali, di riforme settoriali che, oltre ad essere frutto di compromessi, hanno finito per perdere di valore perché inseriti in un sistema antiquato ».
« Non è per una mancanza di riguardo nei confronti della magistratura — ha chiarito a sua volta il presidente del Consiglio forense di Roma avv. Carlo Fornario — che non parteciperemo alla cerimonia di giovedì. Ma la nostra decisione è perché vogliamo esprimere la esasperazione e lo sconforto dei professionisti forensi per una situazione che sembra dimenticata dal Parlamento e dai governi ». La protesta, che questa volta coincide con la inaugurazione dell' anno giudiziario, non dovrebbe essere che l'inizio — almeno questi sono i propositi — di un programma molto concreto e preciso. Si potrebbe forse arrivare anche ad uno sciopero o, nella migliore delle ipotesi, ad una applicazione rigida di talune norme procedurali che finirebbero per paralizzare la vita giudiziaria.
Non è sufficiente — è la opinione del dott. Barone — limitarsi a sostituire questo o quell'articolo del Codice. Non è sufficiente l'intervento della Corte Costituzionale. E' necessario aggiornare il sistema delle leggi nel suo complesso. Non è possibile procedere con un Codice penale che risente dell'autoritarismo statale o con un Codice civile legato ancora a strutture economiche e sociali superate dalla trasformazione profonda avvenuta nel Paese negli ultimi venticinque anni o a tradizioni che sono da considerarsi quasi medioevali come, ad esempio, nel diritto dì famiglia ».
Alla vigilia della cerimonia con cui sarà inaugurato l'anno giudiziario un gruppo di avvocati romani — Ennio Parrelli, Nicola Lombardi, Vinicio De Matteis, Francesco Rufini e Giuseppe Ramadori — hanno stabilito di inviare una lettera aperta al Capo dello Stato spiegando che « ritengono incompatibile la loro partecipazione alla cerimonia che ormai è un abituale ed inutile consuntivo sulle piaghe dell'amministrazione della giustizia». « Se è vero — viene sottolineato nella lettera al Presidente della Repubblica (Giuseppe Saragat, in foto ndr) — che. come lei ha detto nel luglio 1966, " il problema capitale da risolvere è quello di rendere giustizia ai cittadini assicurando ad essi decisioni rapide e certezza nel diritto ", è altrettanto vero che nel nostro Paese accade esattamente il contrario. Tutto è stato detto, da tutte le sedi sono stati indicati i rimedi alla crisi della giustizia, ma nulla è stato fatto. Leggi farraginose e complicate, codici contrari alla Costituzione e dì pretta marca fascista, ordinamento giudiziario vetusto e sedi e mezzi inadeguati. A questo stato di cose corrispondono: magistrati sopraffatti dal lavoro, cancellieri travolti dai processi, avvocati che si arrabattano intorno a cause che non giungono a termine e alla fine gli sventurati cittadini che non ottengono giustizia ».
« Ha mai visto e le hanno mai riferito — è spiegato — come si svolgono le udienze civili? Aule stracolme dove tutto deve funzionare in aperta e costante violazione della legge che se fosse applicata i tribunali si paralizzerebbero; avvocati che debbono sostituirsi agli uscieri, ai cancellieri, ai magistrati chiamando le cause, redigendo i verbali è interrogando i testimoni nei corridoi, scrivendo sulla borsa o sulle spalle di un volenteroso collega? Ha mai saputo di processi penali che durano anni mentre il cittadino viene trattenuto in carcere preventivo per poi magari essere assolto? Le hanno mai detto come realmente si vive ancora oggi nelle carceri? Bene: questo e nient'altro è l'amministrazione della giustizia in Italia ».
La Stampa 8 gennaio 1969