E' dietro un mucchio di brandine, in un corridoio: questa mattina forse si arrenderà - Ha protestato perché non vuole tornare in Francia - Spera di restare in Italia, dove ha la moglie.
Luciano Lutring, barricato in un corridoio del carcere San Francesco di Parma, continua nella sua protesta. Nascosto dietro un mucchio di brandine accatastate contro un cancello, da lunedi il «solista del mitra » si rifiuta di rientrare in cella. Fino a stamane aveva con sé due ostaggi: due rapinatori in attesa di giudizio, che si sono trovati coinvolti in questa assurda vicenda che da drammatica si sta trasformando in grottesca. Oggi pomeriggio li ha liberati. Di Lutring è già stato scritto molto, forse troppo. Un delinquente come tanti altri, con un pizzico di fortuna in più e nessun rispetto per la vita altrui. Ogni volta che si è trovato nei guai, Lutring non ha esitato a farsi strada con le armi.
In Francia, quando venne arrestato, nel settembre '65, sparò contro i gendarmi: uno, colpito alla schiena, è rimasto paralizzato. Condannato a vent'anni, nel carcere parigino de La Sante, il bandito ha scritto un libro autobiografico, cercando di dare nuovo smalto al proprio personaggio. «Nelle escursioni notturne, il mio amico divenne il mitra», afferma all'inizio di un capitolo, con tono compiaciuto, questo giovanotto, nato a Trieste, che, per darsi una impronta «mondana», continua a chiamare «Yvonne» la moglie, una entraineuse conosciuta in un locale di Rimini, il cui vero nome è Elsa Candida.
Questo è Luciano Lutring, il detenuto che da tre giorni tiene testa ai sorveglianti del carcere, che fino a stamane teneva prigionieri due ostaggi, minacciando di seviziarli se le sue richieste non fossero state soddisfatte. Che cosa vuole questo bandito? Condannato in Francia per il ferimento dell'agente ed altri reati, dopo aver scontato nove anni dei venti inflittigli, nel giugno scorso è stato trasferito a Parma perché dev'essere processato per una rapina compiuta in una oreficeria di Salsomaggiore nel '64, per la quale era stato condannato a dieci anni. Per un vizio di procedura il processo dev'essere rifatto per questo motivo Luciano Lutring è stato trasferito in Italia.
Appena arrivato, non ha fatto mistero della sua intenzione di non tornare più in Francia. Per la legge francese, i detenuti stranieri che hanno già scontato metà della pena (nel caso di Lutring dieci anni) possono essere rimpatriati a patto che non mettano più piede in Francia. Perciò, appena giunto a Parma, ha fatto inoltrare una domanda di grazia al presidente Pompidou tramite un legale parigino, perché gli venga condonata la pena ancora restante. La domanda, finora, non ha ottenuto risposta, ed allora Lutring ha attuato la sua clamorosa protesta.
Lunedì, alle ore 13, tornando in cella dopo il pranzo, ha sorpreso gli agenti di custodia e si è barricato nel corridoio, ed ha accatastato contro il cancello delle brandine. Due detenuti — Giovanni Bianchi, di 19 anni, e Sebastiano Consoli, ventenne, che erano già rientrati nella cella, sono diventati suoi prigionieri. Ostaggi. «Non voglio più tornare in Francia. O mi viene concesso di restare in Italia subito, o questi due passeranno un brutto guaio». La minaccia diventa ancora più terribile il giorno dopo, martedì. Al sostituto procuratore della Repubblica, dott. Giorgio Cilento, il bandito dice che, se le sue richieste non saranno soddisfatte, «toglierò un orecchio ad uno dei due ostaggi e all'altro bucherò la pancia».
Anche l'intervento del suo difensore, avv. Decio Bozzini, che lo esorta ad arrendersi per non peggiorare la sua situazione, non ottiene alcun risultato. Cocciuto, Lutring continua a minacciare, forte di quei due ostaggi. Per dimostrare che non scherza, fa sapere di essere armato. Dice di avere un coltello; sembra invece si tratti di una spatola da pittore (il bandito, infatti, passa il suo tempo dipingendo quadri in stile impressionistico), comunque, si tratta sempre di un'arma in grado di uccidere. Per questo gli agenti non s'arrischiano di sorprendere il bandito.
Da due giorni il «solista del mitra» continua ad imporre la propria volontà. Stamane il colpo di scena. Alle 9,30 arriva da Milano la moglie del bandito. Con qualche pretesa di eleganza, il viso sfiorito, la figura un po' appesantita, una parrucca alla Minnie, entra nel cortile del carcere. Elsa Candida Pasini, il viso atteggiato ad una forte emozione, si lascia docilmente fotografare. Con voce tremula, confida ai cronisti la sua apprensione per il gesto del marito, «una trovata che rischia di avere gravi conseguenze per il futuro». Spera di poter parlare con Luciano, «io lo convincerò, ne sono sicura», ma non ci riesce. Il permesso per il colloquio in via eccezionale le viene accordato seduta stante, ma bisogna che Lutring lasci la sua fortezza e scenda in parlatorio. Il bandito non accetta: teme una trappola, non vuole abbandonare la barricata.
Nel carcere entrano soltanto il sostituto procuratore Cilento e l'avv. Bozzini, per un ennesimo tentativo. Ed ottengono la liberazione degli ostaggi. Prima scavalcando le brandine rovesciate e sgusciando attraverso il cancello appena socchiuso, esce il Consoli: è il più robusto dei due, quello che forse impensieriva di più Lutring. Sta bene, è tranquillo, non sembra spaventato. Pochi minuti dopo viene fuori anche il Bianchi. Sono le 10,15: la notizia viene comunicata alla moglie del bandito. «Vittoria», esclama la donna, sorridendo, e riparte veloce per Milano, accompagnata da un robusto e silenzioso cugino.
Nel carcere, intanto, la vita prosegue col ritmo consueto: soltanto i servizi di guardia sono rafforzati («Siamo in piedi da tre giorni, per colpa di quel fanatico», brontola un agente), i detenuti sono tranquilli, ieri sera hanno guardato la televisione, nessuno sembra interessarsi di quello che accade nel «braccio di Lutring». In serata arriva il sostituto procuratore generale della corte d'assise di Bologna, dott. Bonfiglio. Con il collega Cilento e l'avv. Bozzini va a parlamentare con il bandito. Gli mostra copia del telegramma inviato dal ministero di Grazia e Giustizia italiano a quello francese per ottenere che venga concesso a Lutring di restare in Italia. Il bandito sembra soddisfatto, ma rifiuta di uscire. Chiede ancora «una notte per riflettere», promette formalmente di rimuovere la barricata domattina.
Il padre di Lutring "Luciano, arrenditi"
Ignazio Lutring, 72 anni, padre del «solista del mitra», ex fantino ora gravemente malato di cuore, ha ricevuto i giornalisti nel suo modesto alloggio di via Novara, all'estrema periferia della città. L'ex fantino, dopo la partenza della nuora per Parma, è rimasto solo nell'alloggio freddo che una stufetta elettrica scalda a malapena. Attraverso i giornali Ignazio Lutring lancia un appello al figlio, che nonostante tutto spera di rivedere un giorno in libertà. «Luciano ti prego, arrenditi. Non fare pazzie, non darmi altri dolori. Tu hai ragione, lo so, stai soffrendo da anni, ma non voglio che la tua rivolta finisca in tragedia. Io sono solo, ho soltanto te al mondo. Preferisco un figlio in prigione che un figlio morto».
La Stampa 4 ottobre 1973