È la mossa della disperazione: “commissariare” Francesco Basentini in vista del suo avvicendamento e salvare la propria poltrona a via Arenula. Dopo giorni di polemiche ferocissime, Alfonso Bonafede ha dunque scelto la linea dura per tranquillizzare l’elettorato giustizialista e Marco Travaglio che temono un cedimento nella gestione delle carceri.
Il “commissario” è il pm del pool del processo Trattativa Stato-mafia Roberto Tartaglia. 38enne, napoletano, dieci anni di servizio in magistratura e zero esperienza in tema di sorveglianza. Ieri da via Arenula è partita la richiesta al Csm per il suo collocamento fuori ruolo con l’incarico, al momento, di “vice capo” del Dap.
Con la nomina di Tartaglia, Bonafede spera di allentare la tensione su Largo Daga. Basentini, infatti, era stato graziato il mese scorso quando nelle carceri erano scoppiate sanguinose rivolte che avevano provocato 13 morti fra i detenuti, centinaia di feriti, maxi evasioni. Il Dap, e il Ministero della giustizia, erano stati accusati di non avere avuto un piano, scoppiata l’emergenza sanitaria, per contrastare la diffusione del Coronavirus con misure idonee per ridurre il sovraffollamento carcerario, coinvolgendo anche la magistratura di sorveglianza.
Bonafede aveva scaricato la responsabilità di quanto accaduto sui singoli direttori, su alcune circolari, sulla burocrazia. La stessa burocrazia che, ad esempio, avrebbe impedito al Guardasigilli e a Basentini di conoscere le determinazioni dei Tribunali di sorveglianza a proposito dei recenti differimenti pena per motivi sanitari di alcuni detenuti al 41bis.
Quella di Basentini, già procuratore aggiunto di Potenza, fu una delle prime nomine del Guardasigilli grillino appena insediatosi. Senza alcun trascorso specifico in materia penitenziaria, il magistrato lucano aveva allora uno sponsor potentissimo: Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm e ras di Unicost, la corrente di centro delle toghe di cui Basentini era il plenipotenziario in Basilicata. Legato al pm Luigi Spina, togato del Csm vicinissimo a Palamara e poi travolto nello scandalo sulle nomine dell’anno scorso, Basentini è stato “scaricato” dalla sua corrente. I vertici di Unicost, all’indomani degli attacchi al Dap, si sono limitati a diramare un generico comunicato stampa in cui invitavano la politica a risolvere l’annoso problema del sovraffollamento carcerario.
Dopo lo tsunami della scorsa estate, con due consiglieri dimissionari su cinque (Spina e il giudice Pierluigi Morlini), Unicost ha iniziato a perdere pezzi, subendo i diktat della nuova maggioranza al Csm, il binomio Area-Davigo, per non rimanere con la bocca asciutta nella partita delle nomine. L’obiettivo è contenere i “danni” nei prossimi due anni, fino a quando si tornerà a votare per il rinnovo del Csm. Sotto assedio da mesi, Unicost sta vedendo cadere, per vari motivi, molti dei propri esponenti di punta. Fra le toghe di centro costrette a lasciare recentemente l’incarico, il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, il procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini.
Il terrore per i togati di Unicost è che la mannaia possa abbattersi anche su coloro che, nominati nella scorsa consiliatura del Csm, devono essere a breve valutati a Palazzo dei Marescialli per la riconferma nell’incarico. Ma la debolezza di Unicost, che sotto la gestione Palamara riusciva a imporre i vertici dei più importanti uffici giudiziari, rischia di penalizzare Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, molto esposta in questi giorni per impedire la diffusione del coronavirus nelle carceri lombarde. Fino a qualche mese fa il suo nome era in pole position per sostituire Marina Tavassi, presidente della Corte d’Appello di Milano, in procinto di andare in pensione per raggiunti limiti di età.
Difficile, però, che nel clima di caccia alle streghe che si sta creando intorno alle carceri, Di Rosa possa essere votata dal Csm. Di Matteo, il magistrato preferito dai grillini e da Travaglio, ha sparato a zero, nel silenzio delle toghe di sinistra di Area, contro i provvedimenti di scarcerazione dei detenuti al 41bis disposti dalla Sorveglianza di Milano, paragonandoli a un cedimento “alla mafia”. L’ultima parola in questa complessa partita spetterà, ancora una volta, al tandem Davigo-Cascini a cui il nome di Tartaglia come prossimo capo del Dap potrebbe comunque andare bene.
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