Lunedì la riforma carceraria diventa legge a tutti gli effetti. Quali saranno le ripercussioni nelle prigioni, turbate da molte tensioni? Sono previste due grosse innovazioni, che i detenuti attendono da anni e che dovrebbero tendere alla loro rieducazione: licenze e riduzioni di pena ai più meritevoli e, soprattutto, il cosiddetto regime di semilibertà: uscita dal carcere al mattino per recarsi al posto di lavoro e rientro alla sera in cella.
Alle “Nuove” il fermento è notevole. Dice il vicedirettore Manes: “Molti detenuti hanno chiesto una copia della Gazzetta Ufficiale che riporta la legge”. La lettura li avrà delusi: la riforma per ora resta sulla carta. Per tradurre in pratica le nuove norme ci vorrà del tempo. Entro sei mesi dovrà essere emanato il nuovo regolamento carcerarlo che darà pratica esecuzione allo spirito della legge quadro. L'art. 87, all'ultimo comma avverte che “le disposizioni concernenti l'affidamento al centro di servizi sociali e il regime di semilibertà entreranno in vigore un anno dopo la pubblicazione della legge”. L'art. 88 lascia un arco di sette anni per il completamento degli organici del “servizio sociale”: cioè del centro a cui potranno essere affidati i condannati a meno di tre anni, che saranno presi in custodia da assistenti sociali.
Il primo a riconoscere che ci vorrà del tempo per attuare la riforma è il giudice di sorveglianza di Torino, il dottor Nicolo Franco, presidente della quarta sezione del tribunale: “L'attuazione della legge quadro, data la carenza di strutture e di servizi, è quanto meno problematica. Tutto quello che si può auspicare è che alla ripresa dell'attività giudiziaria, a metà settembre, si dia inizio al potenziamento dell'ufficio del giudice di sorveglianza”. “Oggi non abbiamo (vi sono altri due giudici di sorveglianza, il dottor Mitola della terza sezione penale e il giudice istruttore Caselli) nemmeno un cancelliere o una dattilografa. La posta in arrivo è tenuta in ordine da un cancelliere imprestato. I poteri di controllo dei giudici di sorveglianza sull'andamento del carcere sono attualmente quasi nulli. L'ultima volta che sono entrato alle " Nuove " ho trovato 36 detenuti che passeggiavano nei corridoi. Ho chiesto spiegazioni. Ho avuto risposte generiche ("Ero andato all'ufficio matricola", "Avevo un colloquio")”. Anche il direttore del carcere dottor Aldo Nave (non è il titolare ma un facente funzioni, a mezzo servizio tra il carcere di Piacenza e quello torinese), è della stessa opinione. “Le attuazioni pratiche saranno molto limitate. Si potranno concedere più colloqui e non soltanto per i familiari. I secondini non ascolteranno più le conversazioni dei detenuti con i parenti ma si limiteranno a tenere sotto controllo la sala colloqui. I carcerati potranno chiedere il trasferimento al carcere più vicino al luogo dove risiede la famiglia, cosa che del resto già oggi viene fatta. A differenza di quanto accade tuttora, il detenuto che lavora avrà diritto alle assicurazioni previste dalla legge e ad un salario non inferiore ai due terzi di quanto previsto dalle tabelle sindacali. Una quota dei salari sarà destinata alla Cassa di Soccorso prevista dall'articolo 23. Gli assegni familiari, ai quali i detenuti avranno diritto, saranno versati direttamente alle persone a carico. I carcerati potranno usufruire fino a un massimo di 45 giorni di licenza all'anno e di 20 giorni di abbuono della pena per ogni sei mesi di carcere scontato con buona condotta. Ma entrambi i provvedimenti - conclude il dottor Nave - sono di competenza di una commissione che ancora non esiste e che sarà nominata dalla sezione speciale dell'Ufficio di sorveglianza presso la corte d'appello. In sostanza, mancano gli uffici e le strutture che renderanno possibili molti dei vantaggi previsti dalla riforma”.
C'è il rischio che alle “Nuove”, come altrove, cambi poco o niente. Si continuerà a star male al di qua e al di là delle sbarre. Nel carcere vi sono 800 detenuti. Non dovrebbe essercene più di 600. Una sezione delle “Nuove”, distrutta durante le rivolte e recentemente ricostruita, non può essere utilizzata perché manca il personale. Il malcontento è diffuso forse di più tra gli agenti carcerari che tra i detenuti. Le autorità ammettono che non riescono più a reclutare personale sufficiente a coprire gli organici. Sulla carta ci sono 190 guardie, in servizio però se ne contano soltanto 160. Le altre sono sparpagliate in uffici giudiziari esterni. Le licenze sono praticamente abolite, da sempre; i turni sono pesanti, il riposo settimanale quasi mai garantito. “Qualcosa si può cominciare a fare - suggerisce il giudice Franco -. Oltre al nuovo regolamento carcerario (quello che deve essere emanato entro sei mesi), la riforma prevede un regolamento interno che tenga conto delle particolari condizioni ambientali, derivanti dalle strutture carcerarle, completamente superate e carenti. Il secondo passo è il potenziamento dell'ufficio del giudice di sorveglianza. La creazione della sezione speciale presso la corte d'appello sarà l'obiettivo successivo. Con molta buona volontà alcuni uffici e i magistrati addetti a questi uffici, potrebbero essere in grado di funzionare per l'inizio del prossimo anno. Per colmare le carenze di fondo (nuove carceri) ci vorrà più tempo”.
L'ultimo commento è del direttore Nave: “Hanno fatto prima la riforma e poi si sono posti il problema di come renderla possibile. Noi direttori di istituto non slamo stati consultati”. Anche il presidente Franco, che ha partecipato all'ultimo convegno a Venezia, di studio e preparazione alla legge quadro, ammette che l'ultimo comma dell'art. 87 (che rimanda di un anno l'entrata in vigore del regime di semilibertà) gli era completamente sconosciuto. All'ultimo momento il legislatore (o più esatto sarebbe parlare del funzionario di Stato) deve essersi accorto dell'impossibilità pratica di applicazione della legge. E ha aggiunto la postilla finale che rinvia tutto.
La Stampa 23 agosto 1975