“Verità e giustizia per Sissy”. Non ci sono urla in piazza Biagio Camagna, a Reggio Calabria. Commozione, rabbia, e anche con sospetto: sono questi i sentimenti che emergono, che quasi si toccano, tra la gente nel presidio organizzato da Libera che ha ricordato Sissy Trovato Mazza, la giovane agente della Polizia Penitenziaria, deceduta lo scorso 12 gennaio dopo due anni di coma causati da un colpo di pistola che l'aveva ferita alla testa: era il 1° novembre 2016 quando Sissy fu trovata in condizioni già gravi per un colpo esploso all'interno dell'ascensore dell'Ospedale Civile di Venezia, dove si trovava in servizio lavorativo esterno. Lì, la giovane era un'agente di Polizia Penitenziaria di sede all'istituto di reclusione femminile della Giudecca di Venezia. Commozione e rabbia per una vita spezzata. Spezzata nel cuore della gioventù. Sissy era una giovane con una grande voglia di vivere: originaria di Taurianova, nella Piana di Gioia Tauro, prima di trasferirsi in Veneto, Sissy era stata il portiere della Pro Reggina, vincitrice del primo campionato di Serie A femminile della storia, nella stagione 2011-2012.
Se non è un suicidio
Sospetto perché le indagini, per anni, si erano orientate verso un tentativo di suicidio. Ipotesi sempre respinta dalla famiglia: “Noi abbiamo sempre chiesto la verità – afferma Salvatore Trovato Mazza, padre di Sissy – purtroppo la magistratura non vuole vederci chiaro. Io dico che stanno coprendo qualcosa, non so i motivi, però”. Sono tanti, tantissimi, i punti oscuri: sulla pistola d'ordinanza di Sissy, che sarebbe l'arma utilizzata per il ferimento, non sarebbero state rinvenute impronte digitali, neanche quelle della stessa Sissy, come se l'arma fosse stata ripulita; inoltre, ulteriore chiarezza andrà fatta sul telefonino della giovane del quale, la famiglia, è certa che l'agente ne fosse in possesso quella mattina quando uscì di casa ma fu ritrovato, dopo qualche giorno, nell'armadietto personale di Sissy al carcere della Giudecca di Venezia, ove la stessa prestava servizio.
Vento, pioggia, rabbia
In piazza a sfidare il vento gelido e il rischio pioggia ci sono i parenti di Sissy, gli amici, alcuni colleghi, i membri delle associazioni e rappresentanti politici. Quasi tutti hanno in mano una candela, la alzano al cielo, per tenere accesa la fiamma della speranza, del ricordo, del senso di giustizia: un gesto per dire che la Calabria non è solo ‘ndrangheta e malaffare, ma soprattutto voglia di riscatto. E’ commosso il padre di Sissy, commosso dall’affetto, ma indignato per quanto accaduto: “Mia figlia quella mattina stava facendo come sempre il proprio lavoro, stava servendo lo Stato”. E l’inquietante sospetto è che dietro le coperture e i depistaggi possa esserci qualche pezzo deviato dello Stato.
I racconti delle detenute
Il punto di svolta, però, potrebbe essere rappresentato dal ritrovamento di un foglio vergato a mano dalla giovane e indirizzato alla direzione del penitenziario: "La sottoscritta informa che negli ultimi giorni sono stata avvicinata da molte detenute che hanno raccontato fatti gravi che riguardano le mie colleghe. Essendo la cosa molto delicata, ho cercato di evitare di ascoltarle e ho riferito tutto subito all'ispettore". Nella missiva, recuperata dal padre dell'agente in un cassetto di casa, si specifica il nome della persona con cui Sissy avrebbe parlato. Fatti che, a detta del genitore, sarebbero a conoscenza dell’autorità giudiziaria fin dai primissimi giorni. Eppure, nulla sarebbe accaduto in oltre due anni. La famiglia verrà lasciata sola: “Non ho ricevuto alcuna vicinanza dalla Polizia Penitenziaria, solo da alcuni mesi, con il ministro Bonafede, qualcosa si è mosso, ma prima nessuno ha chiesto mai come stesse Sissy. Ora sento lo Stato più vicino”.
Appuntamento in ascensore
Papà Salvatore non ci sta, non trattiene le lacrime, ma è certo: Sissy non si è tolta la vita. Del resto, dice chi la conosce, non ne avrebbe avuto alcun motivo: “Secondo me quella mattina Sissy aveva appuntamento con qualcuno su quell’ascensore e poi è successo qualcosa” dice ancora il padre, Salvatore. Le indagini, quindi, dovranno chiarire il mistero: per questo, la Procura di Venezia, subito dopo il decesso della giovane, ha disposto l’autopsia. Ma non solo, sarebbero conferiti gli incarichi ai periti per esaminare il dna rinvenuto sulla pistola che l'agente aveva con sè quando venne ritrovata agonizzante nell'ascensore dell'ospedale lagunare in cui si era recata per seguire una detenuta e il materiale custodito nel suo computer.
Il legale di Cucchi
“Cosa si sta nascondendo? Perché io, la mia famiglia, tutti, non dobbiamo sapere cosa è realmente avvenuto quella mattina?” si chiede infine il padre della giovane. Il sospetto è che si stia cercando di fornire una versione di comodo: per questo la famiglia spinge per indagini accusate, anche attraverso l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia di Cucchi e compagno di Ilaria, sorella di Stefano. A proposito di depistaggi.
di Claudio Cordova
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