Nell'« appunto », inviato 3 mesi fa al ministro della Giustizia, si sottolinea che le condizioni di Vita non sono mutate dal 1923.
I direttori delle carceri, tre mesi fa, avevano previsto in modo esplicito tutto quello che è poi accaduto in questi giorni a Torino, a Milano e a Genova indicando dettagliatamente le cause che hanno poi determinato le sommosse dei detenuti.
L'ispettore generale dottor Marcello Buonamano, nella sua qualità di presidente della Associazione funzionari direttivi dell'amministrazione penitenziaria, ritenne suo dovere informarne il ministro della Giustizia definendo «gravissima» la situazione. Preparò un appunto nel quale sintetizzò i motivi che, a giudizio suo e dei suoi colleghi, giustificavano questo « stato di allarme » e la mattina del 5 febbraio scorso lo consegnò al sen. Silvio Gava (in foto ndr) prospettandogli anche quelli che avrebbero dovuto essere «gli eventuali rimedi».
Questi, secondo il documento, gli aspetti più salienti della situazione:
1) le condizioni organizzative e funzionali degli stabilimenti penitenziari non sono sostanzialmente diverse da quelle del 1923 per cui le condizioni di vita dei detenuti, salvo qualche eccezione, sono notevolmente arretrate. Soltanto in alcuni istituti (pochi, in verità) sono in atto alcune sperimentazioni di trattamento rieducativo;
2) il vitto affidato ad appaltatori privati che ricevono dalla amministrazione circa 500 lire al giorno per detenuto (colazione, pranzo e cena) prevede un numero di calorie per cui si può considerare teoricamente sufficiente come minimo vitale, ma poiché la età media della popolazione carceraria è 25 anni i detenuti soffrono la fame;
3) una notevole percentuale di detenuti è obbligata all'ozio e quelli che lavorano sono impegnati in lavori carcerari (cucine, pulizie ecc.) o in lavori « di scarso valore tecnologico e sociale » come quello di calzolaio, maglierista, calzettaio, costruzione in proprio di « gondole », « centrini ricamati », « scialli »;
4) il servizio sanitario è deficiente. Il ruolo prevede 26 posti per i medici che però sono soltanto 18, per cui l'amministrazione è costretta ad utilizzare « medici aggregati » che, « essendo malamente remunerati», prestano la loro opera a tempi ridottissimi. La conseguenza è che i detenuti ammalati vengono inviati negli ospedali normali, «con notevole aggravio di spese e di impiego di forze di polizia»;
5) le attività religiose, scolastiche e culturali sono scarse, per cui « il tempo libero » consiste soltanto « nel passeggiare in angusti cortili antiestetici e privi di ogni conforto »; 6) gli agenti di custodia sono 12 mila e 887, ma tre mila sono utilizzati per altri scopi al posto degli impiegati e talvolta anche come «educatori negli istituti minorili per carenza di personale civile specializzato ». Ne consegue che — è stato fatto notare al ministro della Giustizia — per mancanza di custodi i detenuti in ozio soprattutto nelle grandi carceri giudiziarie a Roma, a Milano, a Napoli « restano chiusi nelle celle circa 22 ore su 24 ».
Inoltre i direttori hanno informato il ministro della Giustizia che:
1) molte carceri giudiziarie — per esempio quelle di Napoli, quelle di Roma, quelle di Milano — sono « superaffollate », per cui gran parte dei detenuti vivono « tre per cella con letti biposto senza altre suppellettili ed in alcuni di tali istituti esiste ancora il famigerato bugliolo »;
2) la situazione delle carceri mandamentali (quelle cioè dei piccoli centri urbani) è « addirittura assurda: vi regnano l'ozio, il disinteresse, l'abbandono più completo;
3) la situazione degli istituti carcerari sanitari è « disastrosa ed in aperta violazione delle leggi». Ed è stato citato un esempio: i « centri clinici » anziché da medici sono diretti da funzionari della carriera amministrativa come le case per minorati fisici;
4) gli agenti di custodia per il superlavoro che debbono compiere sono costretti a rinunciare al riposo settimanale e talvolta all'intero periodo di licenza annuale, « con gravi conseguenze per le condizioni di spirito del personale», e riflessi negativi «sul delicato servizio della custodia e sul rapporto agente - detenuto »;
5) mancano i funzionari direttivi perché l'affluenza dei candidati ai concorsi è ridotta in modo allarmante in quanto ai grandi sacrifici richiesti non corrisponde un adeguato trattamento economico. In sostanza 182 funzionari debbono interessarsi di 300 carceri, 6 manicomi giudiziari, 10 ispettorati distrettuali, 10 centri di rieducazione di minorenni, l'Ispettorato centrale del Ministero e i servizi ausiliari della Direzione generale;
6) numerose carceri giudiziarie (circa 70) e tutte quelle mandamentali sono dirette di fatto da un maresciallo degli agenti di custodia, perché i magistrati (procuratori della Repubblica e pretori) che ne hanno per legge la direzione se ne disinteressano;
7) l'amministrazione centrale è affidata ai magistrati mentre i funzionari direttivi, che hanno una esperienza teorica e pratica dei sistemi penitenziari e che sono a continuo contatto con i detenuti e quindi ne conoscono i problemi, non sono neanche interpellati come consulenti.
Inutilmente, i direttori delle carceri hanno atteso una risposta a questo loro « appunto »: ma le loro previsioni, dopo tre mesi, sono risultate esatte.
La Stampa, 17 aprile 1969