Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede continua ad arrampicarsi sugli specchi e a commettere errori. Dopo settimane di assoluto silenzio, ora si accorge grazie alla stampa che la scarcerazione di alcuni detenuti con il 41 bis rischia di ritorcerglisi contro e, allora, nel prossimo decreto legge tenterà di inserire delle norme volte a limitare la discrezionalità del magistrato di sorveglianza.
Ciò significa che qualsiasi decisione connessa con l'eventuale scarcerazione di condannati per reati di mafia dovrà passare sia per la Procura nazionale Antimafia e Antiterrorismo, sia dalle singole Procure distrettuali Antimafia e Antiterrorismo. Questo per lui dovrebbe impedire che possa nuovamente accadere che si dia il via libera ai domiciliari come è successo per il boss Franco Bonura o per Pasquale Zagaria, scarcerato dal tribunale del riesame di Sassari perché malato oncologico.
Un decreto che sarebbe pericolosissimo, perché andrebbe a minare la democrazia in favore di una «dittatura politica» che fa il bello e il cattivo tempo. Il retroscena è dei più assurdi. Prima della comunicazione agli istituti penitenziari inviata dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), lo scorso 21 marzo, con cui si chiedeva di individuare i detenuti affetti da alcune patologie, di fatto un controllo sullo stato di salute dei carcerati, ci sarebbe stato, si vocifera in ambienti giudiziari, uno scambio di comunicazioni tra i diretti collaboratori del Guardasigilli e il Dap. Comunicazioni sommarie e neanche firmate da Bonafede, con cui si sarebbe suggerita la mossa, ma in cui ci si sarebbe dimenticati di specificare che eventuali scarcerazioni, dettate dal precedente decreto, non avrebbero dovuto riguardare i detenuti col 41 bis. Fermo restando che il diritto alla salute è applicato a tutti i cittadini, carcerati compresi, lo è anche che il ministro ha commesso più sbagli.
In primis avrebbe dovuto occuparsi dello stato di salute della popolazione carceraria ben prima dello scoppio della pandemia, inoltre, ha lasciato trascorrere settimane senza pianificare nulla e poi all'improvviso ha dato il via a un meccanismo che stabilisce la scarcerazione di chi sta male. Se l'è presa con il giudice di sorveglianza di Sassari che ha scarcerato Zagaria, non tenendo conto che il magistrato ha il potere per farlo. Oltretutto, lo stesso avrebbe scritto al Dap per chiedere il trasferimento del condannato per motivi di salute, ma nessuno avrebbe mai risposto, per cui l'unica via sarebbe stata quella di concedere i domiciliari. Nel corso dell'amministrazione Piscitello al Dap le linee guida erano diverse: ok al diritto alla salute, ma ci sono anche altri diritti da contemplare, e in carcere anche un detenuto al 41 bis può essere curato. Mandare ai domiciliari un capo mafia significa, in sostanza, rimetterlo al suo posto, sebbene con le misure del caso. Basti ricordare il caso di Bernardo Provenzano, al quale fu negata la morte a casa nonostante le condizioni di salute (morì in ospedale a Milano). Oggi accade l'opposto e si rischia persino un nuovo caso Abbatino. Il capo della Banda della Magliana approfittò infatti della scarcerazione per motivi di salute, peraltro fingendo una malattia, per fuggire. Ora Bonafede prova a rimediare, ma lo fa cercando di togliere potere alla magistratura con l'imposizione della politica. Come disse il noto penalista Giulio Gasparro, lo scorso dicembre, durante la maratona oratoria per la verità sulla prescrizione, in cui si criticò fortemente l'ennesimo passo falso di un ministro che continua a commettere sbagli, «abbiamo bisogno di tornare indietro nel tempo, dove abbiamo iniziato a perdere le nostre libertà fondamentali».
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